Anthony Ashley-Cooper, III Conte di Shaftesbury, Lettera sull’entusiasmo (1708). Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.In breve, mio Signore, ritengo che sia l’atteggiamento melanconico verso la religione a renderla così tragica, e a farla responsabile di così tante orribili tragedie nel mondo. Ed è mio avviso che, se trattiamo la religione con rispetto, non potremo mai usare troppo buon umore o esaminarla con troppa libertà o familiarità. Infatti, se essa è genuina e sincera, non solo sosterrà la prova, ma prospererà e ne trarrà vantaggio. Se invece è spuria o unita alla menzogna, sarà scoperta e smascherata.
Il modo malinconico in cui ci è stata insegnata la religione, ci impedisce di pensare ad essa con buon umore. È principalmente nelle avversità, nelle malattie, nel dolore, quando la nostra mente è turbata o siamo agitati, che vi facciamo ricorso. Sebbene, in verità, non siamo mai nella situazione adatta per pensare ad essa, se non quando ci troviamo ad affrontare momenti pesanti e cupi. Non potremmo mai contemplare qualcosa sopra di noi, se non siamo nella condizione di guardare dentro noi stessi ed esaminare con calma il nostro stesso temperamento e le nostre passioni. Allora vediamo una divinità in collera, furiosa, vendicativa e terrificante, quando dentro di noi siamo pieni di apprensioni e di paure e, per la sofferenza e l’ansia, abbiamo perso gran parte della calma naturale e della serenità del nostro temperamento.
Per comprendere bene cosa sia la vera bontà e cosa implichino quegli attributi, che noi ascriviamo con tanto plauso e onore alla divinità, non solo dobbiamo trovarci in un normale stato di buon umore, ma nel migliore degli umori, e nella più amabile e gentile disposizione d’animo della nostra vita. Allora saremo in grado di vedere al meglio se quelle forme di giustizia, quei tipo di castigo, quel temperamento rancoroso, quella suscettibilità e indignazione che attribuiamo comunemente a Dio, si accordano con quelle originarie idee di bontà che lo stesso essere divino, o la Natura per lui, ha impresso dentro di noi e che noi dobbiamo necessariamente presupporre, per offrirgli qualunque tipo di lode e onore.