SHAFTESBURY: TRA BENEVOLENZA ED ENTUSIAMO.


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Un’altra dinamica concettuale fondamentale, all’interno del pensiero shaftesburyano, è il Piacere. Anch’esso, come adesso vedremo, si rivela essere correlato de facto alle riflessioni che abbiamo esposto in seno alla morale. Partiamo, innanzitutto, dalla classificazione che Shaftesbury ci propone, parlando di piaceri lato sensu. Essi, infatti, sono da distinguersi in “corporei” e “spirituali”, ove i secondi sono da preferirsi ai primi. Sopra, però, ai piaceri spirituali vi sono quelli della “benevolenza”. È questo, invero, un concetto estremamente rivelante per il filosofo inglese.

I “piaceri della benevolenza” – o “della virtù” – producono gioia, sostiene Shaftesbury. Ma non si tratta di una felicità qualsiasi, quanto, piuttosto, di una “soddisfazione” legata ad una morale di tipo “simpatetico”. In sintesi: questa “gratificazione” personale è congiunta alla “stima meritata” ed alla “partecipazione al bene altrui”: «Da queste due sorgenti, comunicazione o partecipazione agli altrui piaceri e fede nell’altrui stima, nascono più dei nove decimi di ogni gioia della vita.» Ma non solo. Morale e Felicità sono concetti talmente importanti nella riflessione circa il Piacere, che Shaftesbury giunge persino a sostenere come i piaceri corporei siano in grado di manifestare pienamente la propria essenza, solo e soltanto in presenza di “affezioni sociali”, poiché niente per l’uomo è più essenziale della esplicazione di siffatte affezioni.

La “benevolenza shaftesburyana” è Entusiasmo ipso facto! Entusiasmo per il Bene e per il Bello. Quindi, rigirando il punto di vista, potremmo dire che la stessa Morale, in fin dei conti, altro non sia che una “adesione entusiastica” al Bene e al Bello. Vi è, dunque, una meravigliosa commistione tra un preannuncio di ideali prettamente illuministici – legati per lo più al cosmopolitismo – con ideali già pienamente romantici – come l’adorazione della Natura, ad esempio -. Si tratta di una forma di entusiasmo “sano”, “genuino”, ovvero del tutto estraneo ad ogni tipologia di estremismo – cfr. Lettera sull’Entusiasmo e I Moralisti -.

La benevolenza – o, più semplicemente, “virtù” -, sostiene Shaftesbury, non può essere oggetto di imposizioni. Non può originarsi da costrizioni o dal mero “senso del dovere”. Non può manifestarsi, nella sua più profonda essenza, in quanto risultato di un ordine impartito da una legge o da un’autorità – cfr. Hobbes -. Al contrario. La vera virtù si sviluppa attraverso una “graduale ma continua abitudine ai sentimenti (entusiastici) e alle buone riflessioni”. Si tratta, quindi, di una “morale totalmente disinteressata” e che non può – assolutamente! – prescindere dalle affezioni sociali di cui sopra. Sarà interessante notare come tutto questo quadro concettuale goda (o meno) di un fondamento metafisico – poiché è, invero, proprio la metafisica il punto “debole” dell’intera riflessione filosofica shaftesburyana -.

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