UN PRIMO APPROCCIO AL CONTRATTO SOCIALE DI ROUSSEAU.


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Per addentrarci nello studio e nella comprensione di quella che resta, fondamentalmente, l’opera più importante di RousseauDu contrat social (1762) -, prendiamo come punto di partenza della nostra analisi la seguente comparazione.

Da una parte, abbiamo Marx, denunciatore dell’alienazione e della disuguaglianza, il quale però, tuttavia, ritiene che un “correttivo” a siffatte patologie sia insito nella dialettica storica. Dall’altra parte, il nostro philosophe di Francia, che, nonostante ritenga l’uomo destinato all’isolamento e alla solitudine a causa delle disuguaglianze di cui egli stesso è l’artefice – cfr. Montaigne -, crede che un possibile mutamento positivo sia da cercare all’interno dell’uomo medesimo – nel citoyen, per la precisione -. Da qui segue la fondamentale importanza, all’interno del pensiero rousseauiano, della pedagogia – Émile ou De l’éducation – e della “religione civile” – Du contrat social -. Dobbiamo però subito prestare attenzione ad un particolare.

Abbiamo poc’anzi sostenuto come per Rousseau l’uomo sia l’artefice delle disuguaglianze di cui egli stesso è vittima all’interno del contesto sociale nel quale vive. Non è corretto. Non del tutto, almeno.

La disuguaglianza, sostiene il philosophe, si origina nel momento in cui l’individuo passa dal proprio “stato di natura” a quello “sociale”, entro il quale diviene – inevitabilmente! – veicolato al confronto col prossimo e – inevitabilmente! – sottoposto al giudizio del prossimo. Questa dinamica fa ben comprendere come l’individuo non sia di per sé colpevole, in quanto è “meccanico” il fatto che il suddetto passaggio sia la fonte di giustificazione e di legittimazione della disparità esistente tra gli individui. Essendo, quindi, la società la vera colpevole – proprio perché essa non potrebbe non esserlo altrimenti, nell’ottica rousseauiana -, è essa stessa che deve essere mutata. Per farlo, sostiene Rousseau, è fondamentale concentrare i propri sforzi sui cittadini, in quanto solo e soltanto i cittadini potranno istituirne una nuova. La differenza con Hobbes è tutta qui.

Quindi, mentre per Marx sono le dinamiche storiche relative allo sviluppo economico ed ai conflitti di classe a determinare il “come” ed il “quando” della nascita e della fine della disuguaglianza, per Rousseau è, di per sé, il passaggio dallo “stato di natura” allo “stato sociale” a determinare l’iniquità tra gli uomini – Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes (1755) -. Al fine di superare tale condizione, non è possibile affidarsi al processo storico ma, bensì, ad un qualcosa di “nuovo”, di “artificiale”, di “accordato”… di “contrattualistico”, per l’appunto. Una vera e propria “intesa” ex novo, stipulata tra i cittadini.

Sono generalmente due le critiche di maggior rilievo che vengono mosse contro Rousseau.

La prima è quella di aver postulato che l’uomo sia “naturalmente solo e soltanto buono”; la seconda, di aver descritto la storia dei contesti socio/politici come perennemente marchiata da forme di regresso lato sensu. Analizziamo entrambi i punti di vista.

Lo “stato di natura” resta per Rousseau un valore non prettamente ed esclusivamente di tipo “storico”, quanto, piuttosto, una filosofica “unità di misura”, sfruttata ad hoc al fine di poter delegittimare lo stato attuale delle cose. Al contesto sociale vigente, dilaniato da ingiustizie e da disuguaglianze di vario tipo, ecco che Rousseau contrappone, infatti, il “paradiso perduto del selvaggio” ed invita gli uomini ad un meraviglioso “ritorno all’età dell’oro”. È proprio questo espediente, dal contenuto profondamente psicologico, a farci comprendere come per Rousseau sia possibile volgere lo sguardo ad una soluzione positiva, per il cui perseguimento, però, è fondamentale spronare i cittadini – anche psicologicamente, per l’appunto! – a recuperare quanto di meraviglioso e giusto è andato perduto nella costruzione delle attuali società.

Siamo, quindi, oltre il più mero e becero conservatorismo. Siamo oltre le denunce hobbesiane e la “esigente necessità” di instaurare un potere forte che corregga la mancanza di moralità negli uomini.

Nell’invito a volgere lo sguardo al passato, invero, Rousseau pone le fondamenta della propria idea di progresso sociale. L’uomo resta, per forza di cose, «un essere sociale». In lui risiedono le radici della sua stessa potenzialità positiva. Esattamente come nella società moderna e attuale è possibile trovarvi quelle della sua stessa involuzione. È, dunque, solo e soltanto sull’uomo e nell’uomo che si devono investire gli sforzi necessari al fine di raggiungere un vero cambiamento sociale e politico.

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