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Anziché stare attento a che Emilio non si ferisca, mi dispiacerebbe assai che non si ferisse mai e che crescesse senza conoscere il dolore. Soffrire è la prima cosa che deve imparare, e quella che avrà il maggior bisogno di sapere. […] Invece di lasciarlo marcire nell’aria viziata di una camera lo si porti ogni giorno in mezzo ad un prato. Là che corra, che ruzzi, che cada cento volte al giorno, tanto meglio; imparerà più presto a rialzarsi.
Rousseau sostiene come nell’educazione del bambino sia da evitare, in egual modo, tanto un «eccesso d’indulgenza» quanto un «eccesso di rigore». In sintesi: «Se lasciate soffrire i fanciulli, mettete in pericolo la loro salute, la loro vita, li rendete attualmente infelici; se risparmiate loro con troppo zelo ogni specie di malessere, li rendete delicati, sensibili, li sottraete al loro stato d’uomini, nel quale un giorno rientreranno vostro malgrado.» L’equilibrio professato dal filosofo ginevrino verte, quindi, sulla seguente consapevolezza: avere la sensibilità di capire che «come la pena è spesso una necessità, così il piacere è qualche volta un bisogno», senza che nei riguardi di entrambi si sfoci in pratiche (pedagogiche) estremiste. Ciò che, effettivamente, l’illuminista tende a ribadire con assoluta fermezza è il non doversi, mai e poi mai, farsi comandare dal fanciullo:
Accordate loro tutto quanto è possibile, tutto quanto può arrecar loro un piacere reale; rifiutate sempre loro ciò che domandano solo per fantasia o per fare un atto di autorità.
Le «dipendenze» trattate all’interno dell’Emilio sono di due tipologie:
- «quella dalle cose, che è propria della natura»;
- «quella dagli uomini, che è propria della società».
Rousseau afferma che la «dipendenza dalle cose» non sia in grado né di generare vizi né di minare la libertà all’interno della società; questo per il semplice fatto che, a detta del filosofo, la stessa sia priva di qualsivoglia carattere di tipo morale – quest’ultima, dunque, investe soprattutto i rapporti interrelazionali; gli stessi di cui l’illuminista esalta l’assenza nello stato di natura dei selvaggi -. Giudizio differente, quindi, quello che viene formulato in riferimento alla «dipendenza dagli uomini». Secondo Rousseau, per impedire la proliferazione dei vizi all’interno di un contesto sociale, si rende necessario «sostituire la legge all’uomo» ovvero affidarsi ad una “volontà generale” (di stampo repubblicano) in grado di obliterare la moltitudine di pretese privatistiche ed egoistiche dei singoli. In tal modo, «si riunirebbero nella repubblica tutti i vantaggi dello stato naturale con quelli dello stato civile» – il tema della “volontà generale” è al centro di tutta quanta la discussione esposta nelle pagine del Contratto sociale –. In seno alla educazione, è doveroso, dunque, lasciare il fanciullo nella sola dipendenza dalle cose – senza che nei riguardi delle stesse il bambino sviluppi forme di comando e/o di pretesa -: «Non accordate nulla ai suoi desideri perché lo comanda, ma solo perché ne ha bisogno.» -.
Collegato alla precedente argomentazione vi è la riflessione che Rousseau sviluppa sul concetto del «vero bisogno». L’illuminista sostiene che: «[…] bisogna distinguere con cura il vero bisogno, il bisogno naturale, dal bisogno di fantasia che comincia a nascere, o da quello che non viene che dalla sovrabbondanza di vita […].» Il tema è abbastanza delicato perché difficile risulta il comprendere dove finisca il capriccio di un bambino e dove invece risieda un suo vero bisogno di attività. La “fantasia” citata da Rousseau assume, per lo più, un significato negativo e detrattivo ma, come appena detto, è necessario prestare attenzione: il fanciullo ha bisogno di “sentirsi attivo” in modo estremamente vario e differenziato – «Occorre che essi saltino, corrano, gridino quando ne hanno voglia.» -. Il fatto è che il mero “volere questo o quello”, senza uno scopo o una utilità precisa, può finire, spesso, con l’assumere la forma di un irritante e/o superficiale capriccio; ma può anche, molto spesso, divenire una più che lecita richiesta, avanzata sulla base di un reale (e naturale) bisogno di attività. All’educatore accorto il compito di riuscire a distinguere le due situazioni.
Il “capriccio” merita, ad ogni modo, un’ulteriore precisazione, all’interno della trattazione rousseauiana. Rousseau sostiene che «il capriccio dei fanciulli non è mai l’opera della natura, ma di una cattiva disciplina», quindi se gli stessi ne diventano preda significa che «hanno obbedito o hanno comandato». È necessario, quindi, lasciare il bambino “padrone” della sua stessa volontà. Si tratta del metodo della “educazione indiretta”: non si deve influenzare o indirizzare il comportamento del bambino, plasmandone i comportamenti, attraverso la promessa di ricompense o proibizioni – tipo regali o punizioni -, quanto piuttosto assicurarsi di allestire per lo stesso un ambiente che possa essere il più vasto e sicuro possibile, all’interno del quale il fanciullo si senta libero di seguire la propria volontà. Un ambiente che sia in grado di sollecitarlo. Un ambiente ricco cioè di situazioni generatrici di sviluppi proficui per la crescita, l’esperienza e l’apprendimento.
Ecco perché fondamentale per il fanciullo è l’uso dei propri sensi. Il cui sviluppo deve avvenire tramite l’esperienza. Una esperienza a sua volta non imposta e/o condizionata, ma dettata dalla volontà di conoscenza del ragazzo. Come afferma lo stesso filosofo:
Le prime facoltà che si formano e perfezionano in noi sono i sensi. Son dunque le prime che bisognerebbe coltivare; sono invece le sole che si dimenticano, o quelle che si trascurano di più. Esercitare i sensi non è solamente farne uso, è imparare a ben giudicare per loro mezzo, è imparare per così dire, a sentire; giacché noi non sappiamo né tastare, né vedere, né ascoltare altrimenti che come abbiamo imparato.
Per questo motivo il libertino sprona il bambino ad un utilizzo sempre più libero ed intensivo delle proprie capacità sensoriali. In special modo, della vista e del tatto, arrivando a consigliare al fanciullo di dilettarsi in moltissimi giochi. Ora all’aperto, ora al buio e via discorrendo.
In tutto questo consiste l’educazione “negativa” di Rousseau. Il “metodo inattivo” che – sino al compimento del dodicesimo compleanno – deve fare da giuda alla crescita del fanciullo, permettendo allo stesso di esperire esperienze in modo libero. Esperienze giustificate in toto dalla piena consapevolezza di essere state vissute nel rispetto della propria volontà. In questa fase della vita del bambino, quindi, la massima che ne guida l’educazione è del tipo “meno insegnate al fanciullo, più facilmente lo stesso diverrà uomo”.
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