PRATICARE LO ZEN.


Un monaco domandò al suo maestro: “È trascorso un certo tempo da quando sono venuto da voi per essere istruito sul santo sentiero che conduce al Buddha, ma nemmeno un indizio me ne avete ancora dato.” Ecco la risposta: “Cosa intendi, figlio mio? Ogni mattina mi saluti, e io non ti ricambio? Quando mi porti una tazza di tè, forse che io non l’accetto e non mi rallegro nel berla? Al di là di ciò, quali altri istruzioni desideri da me?”.

Praticità e Zen vanno di pari passo. Questo significa che per raggiungere lo Zen è necessario praticare la Vita, ampiamente intesa, in ogni sfaccettatura e particolarità la stessa vada costituendosi, volgendo attenzione e cura ad ogni mansione svolta – anche la più umile ed apparentemente priva di significato -. Questa consapevolezza si origina a seguito di quanto detto e sostenuto fino a questo momento: apprendere lo Zen non significa abbandonarsi ad un mero ed “esclusivo” percorso intellettuale. L’illuminazione arriva nel momento in cui la contemplazione del particolare eseguito e posto in essere permette il raggiungimento dell’Assoluto. Lo Zen, quindi, è la “Vita di ogni giorno”, sia essa correre o nuotare o anche il semplice respirare, perché in qualsivoglia azione pratica è possibile raggiungere il satori. Lo Zen è svincolato da ogni coercizione in quanto libero e permeato da una assoluta naturalezza di espressione e manifestazione.

Forse, che sia proprio il suo carattere pratico a rendere difficile l’individuazione dello Zen? Perché se, da un lato, è corretto sostenere come esso si manifesti nella conduzione e nell’esercizio pratico dell’esistenza, dall’altro lato, è necessario trascendere ogni interpretazione logica del vivere per permettere al particolare di condurci all’assolutezza dello Zen. Non solo il tempo e lo spazio devono venire trascesi, ovvero privati della loro capacità di influenzare il nostro giudizio su quanto osservato e/o esperito… è necessario anche andare oltre ogni lettura sistemica della realtà. Che significa che un evento A è più importante di un evento B? Porsi in tale maniera nei riguardi di un qualsiasi avvenire non consente di cogliere l’essenza assoluta della manifestazione.

Non si tratta di fenomenologia. Non stiamo parlando di verità prospettiche o di flussi di coscienza. Tutt’altro. Stiamo parlando di un Assoluto che si rivela per quello che è. Non stiamo nemmeno parlando di una interpretazione panteistica del Mondo. Quando andiamo sostenendo che “tutti siamo Buddha” non affermiamo che Buddha sia presente in qualsivoglia particolarità, quanto piuttosto come sia possibile scorgerlo in qualsiasi cosa. Non una determinante ontologica, quindi. Ma un risveglio. Una consapevolezza. Un percorso che conduce all’Assoluto. Una chiara manifestazione di ciò che è in quanto tale. Una illuminazione, appunto.

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