SHAFTESBURY: INTRODUZIONE ALLA MORALE DEL SENTIMENTO.


Se volessimo individuare il fondamento del pensiero di Shaftesbury, dovremmo vertere la nostra attenzione su due dinamiche concettuali ben precise: morale ed estetica. Potremmo parlare de facto di “morale del sentimento” o di “etica del sentimento”, ove il nostro filosofo fonda il proprio disquisire morale esattamente su “ciò che è buono” e su “ciò che è bello”. Di conseguenza, quindi, per cercare di comprendere in cosa mai possa consistere questo “sentimento morale”, risulterà essere necessario capire cosa Shaftesbury intenda tout court con il termine “buono” e con il termine “bello”. La disquisizione è profonda e alquanto complessa.

Partiamo, innanzitutto, con la definizione di “senso morale”.

Per il filosofo inglese, si tratta di “ciò che giudica” le azioni umane, le quali possono essere classificate come “giuste” o “ingiuste”, mediante un atto di valutazione che soddisfa due requisiti fondamentali: immediatezza e spontaneità. Questo “senso morale” è comune a tutti gli uomini. Ciò significa che ciascuno di noi è capace, in modo immediato e spontaneo, per l’appunto, di valutare come “retta” o “sbagliata” una certa azione. In che modo? Shaftesbury ritiene che il giudicare debba tener conto dell’intenzione che promuove l’azione medesima. È, dunque, da ritenersi “buona” ogni azione che viene promossa da una “intenzione disinteressata”, ovvero tutto ciò che risulta essere mosso da una genuina affezione naturale, sia che si tratti del pubblico bene che di un interesse privato – a patto che quest’ultimo non leda il bene pubblico -. Ma chi è che giudica? O, per essere più precisi, dove risiede questo senso morale? Si tratta forse dell’Intelletto? Della Ragione? Ecco, già qui risulta essere necessario fare molta attenzione.

Se per “ragione” si deve intendere la “ragione teoretica”, allora la risposta è no. Così come, allo stesso modo, è da rifiutarsi qualsiasi considerazione di natura prettamente empirica: questo “organo giudicante” non è simile o paragonabile agli altri sensi corporei. Si tratta, piuttosto, di un qualcosa che appartiene all’uomo poiché tale è la natura dell’uomo. Esattamente come la virtù e/o il merito e/o la responsabilità morale sono tratti distintivi degli esseri umani, lo è anche il senso morale che accomuna  tutti gli uomini e che ha la propria sede nel cuore, ovvero nel “sentimento”:

[…] il cuore non può rimanere indifferente, ma prende costantemente partito in un senso o nell’altro… dovrà approvare in un modo o nell’altro ciò che è naturale ed onesto, e disapprovare ciò che è disonesto e corrotto […]

Il senso morale ha, dunque, una natura puramente e profondamente affettiva. Ma attenzione! Nonostante sia immediato, spontaneo ed affettivo, il senso morale rivela (anche) una sua “praticità” nel formulare giudizi. Ed essa deriva dalla Ragione. La funzione giudicante, infatti, opera in riferimento ad una precisa idea (apriorica) di “bene” e “male” – e/o di “bello” e “brutto” –. Tali concetti non possono non provenire se non dalla ragione teoretica:

[…] non diciamo mai di un cavallo che è buono… anche se possiede una buona natura. Così se una creatura è generosa, dolce, costante, ma non può riflettere su quanto essa stessa compie o vede compiere dagli altri in modo da rendersi conto di ciò che è meritorio ed onesto, in modo da costituire ad oggetto delle proprie inclinazioni quella stessa idea o concetto del giusto, e dell’onesto, tale creatura non ha il carattere di un essere virtuoso. Solo in questo modo infatti e non altrimenti, sarebbe capace di avere un senso del giusto e dell’ingiusto, un sentimento o giudizio di ciò che è compiuto per una inclinazione giusta, retta e buona, o per un motivo opposto.

Il senso morale – comune a tutti gli uomini nella sua immediatezza, spontaneità ed affettività (“senso comune”) – non è da disgiungersi dalla Ragione. Ma prestiamo ancora attenzione, perché abbiamo lasciato un passaggio fondamentale!

Abbiamo parlato di “intenzioni”, sostenendo come esse determino il giudicare – che, per l’appunto, deve tener conto del perché si agisce! -. Ma, da un punto di vista apriorico, cosa determina la bontà o malvagità delle stesse? O, per ridurre ancora di più all’osso l’intero disquisire, cosa fa sì che una intenzione sia da ritenersi meritevole di venire posta in essere?

Shaftesbury ritiene che per giudicare una intenzione si debba “misurarne” la “naturalità”. Morale è tutto ciò che è secondo natura ovvero tutto ciò che è moralmente buono e bello perché ciò che è buono e bello è naturalmente morale – in quanto immediato, spontaneo, affettivo, comune e filtrato dalla ragione teoretica -. Sono questi i grandi fondamenti della “morale simpatetica” shaftesburyana.

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