MORALITÁ ED IMMORALITÁ SECONDO SHAFTESBURY.


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Abbiamo sostenuto che agire moralmente, secondo Shaftesbury, significa “muoversi secondo natura”, in quanto tutto ciò che è buono e bello è morale poiché spontaneo, immediato, comune a tutti gli uomini e filtrato secondo la ragione teoretica. Chi si comporta, quindi, in modo immorale ed irresponsabile, si muove contro natura, ovvero in modo “innaturale” – moralmente parlando, ovviamente! -. La domanda che però a questo punto della trattazione sorge è tanto scontata quanto capace di delegittimare – almeno in parte – ciò che abbiamo sostenuto poc’anzi. Poniamo attenzione.

Se esistono persone che si muovono contro natura, ovvero individui che agiscono non secondo la morale, come può il senso morale stesso essere comune a tutti gli uomini? E, di conseguenza, come si può riuscire a coordinare tali estremi – coloro che si muovono secondo natura, da una parte, con coloro che, dall’altra parte, invece, ignorano tale percorso -? Insomma, riducendo ai minimi termini l’intera questione: “esiste o no un “metro comune della moralità” all’interno della riflessione shaftesburyana?”

Shaftesbury, rifiutando in modo categorico qualsivoglia “ancora di salvezza” proveniente dallo scetticismo, è profondamente convinto di come sia necessario trovare degli “argomenti comuni” che, per l’appunto, facciano sì che gli uomini siano in grado di “accordarsi moralmente” gli uni con gli altri. Il problema – e non solo filosofico! – di questa riflessione risiede proprio qui. Esistono simili argomenti? È possibile trovarli? E se la risposta dovesse essere affermativa, essi quali sarebbero mai? Può, ad esempio, la religione strincto sensu essere “quel qualcosa” tale da permettere agli uomini di agire moralmente gli uni nei riguardi degli altri? Conscio dei drammi del suo tempo, la risposta del filosofo inglese non può che essere negativa. E lo stesso vale anche per la politica.

Dunque?

La soluzione al disquisire assume le vesti di un ragionamento dai forti contenuti platonici. Per trovare, infatti, ciò che moralmente può accomunare tutti gli uomini, di modo da salvaguardare così, filosoficamente, “l’esser comune del senso morale”, Shaftesbury introduce, nella sua riflessione, il concetto di “verità prima”. Procediamo con ordine.

Le prime di queste verità a cui il filosofo inglese crede ciecamente sono la “socialità” e la “sociabilità”, ovvero la tendenza e la disposizione dell’uomo alla convivenza e alla vita sociale – una posizione completamente antitetica a quella rousseauiana, dunque -: «Se vi è qualche appetito naturale, quello sociale lo è senza smentita.» Le affezioni sociali sono naturali esattamente come naturale è il senso morale, il che significa che proprio come il comportarsi moralmente implica l’agire secondo natura anche il convivere all’interno di società organizzate altro non è che un “progresso” prettamente di tipo naturale. Quel “senso comune” di cui abbiamo già parlato, dunque, è da intendersi come un vero e proprio attaccamento ed interesse alla salvaguardia del bene pubblico. Ma, allora, come è possibile “andare contro natura”?

Shaftesbury non crede che il senso morale non sia comune a tutti gli uomini ma, al contempo, non può negare come alcuni di essi si comportino in modo immorale. Come risolvere questa idiosincrasia? Il filosofo ritiene come non si debba focalizzare il punto di vista sull’assenza o meno del senso morale – la cui presenza resta apodittica ed incontestabile – quanto, piuttosto, sul cogliere la presenza o meno di affezioni contrastanti la morale medesima. In sintesi: possono esistere sentimenti forti e contrari alla morale che veicolano l’individuo a muoversi contro natura. Questo può accadere quando il filtraggio della ragione teoretica è viziato o risulta essere mancante. Le opinioni, le usanze, le credenze ma anche le stesse affezioni naturali portate all’eccesso possono rendere l’uomo immorale e innaturale.

Per il filosofo, le “inclinazioni” – che avevamo già avuto modo di trattare nel precedente articolo – si dividono in:

  • naturali, se rivolte verso il pubblico bene – ricordiamo quanto poc’anzi sostenuto circa la definizione di “senso comune” -;
  • naturali, se rivolte verso sé stessi e/o il bene privato – a patto che quest’ultimo non leda l’interesse di tutti… anche in questo caso vi rimando al precedente articolo -;
  • innaturali, se osteggiano l’interesse pubblico o l’interesse privato o entrambi.

Le inclinazioni – o “tendenze” – innaturali si verificano quando o le affezioni naturali sono in “deficienza” o quando le stesse vengono portate all’eccesso. Questa “deficienza” però – lo ripetiamo nuovamente – non è da intendersi come “assenza” ma, al contrario, come presenza di sentimenti forti e contrari al muoversi secondo natura.

Sono soprattutto le passioni a divenire oggetto di grande studio ed interesse per Shaftesbury. Quest’ultime, infatti, risultano essere molto inclini agli estremismi e, quando rompono gli equilibri naturali (e, quindi, morali), conducono a risultati diametralmente opposti a quelli che si erano prodigati di perseguire – pensiamo, ad esempio, all’amore che può portare al desiderio sfrenato ed irrazionale di possesso -.

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