IL PAGANO IRRIVERENTE E LA (SANTA) PASQUA.


Una domanda. Anzi no. Una constatazione. Nemmeno. Una presa di coscienza sulla realtà oggettiva delle cose. Ecco, sì. È un qualcosa che mi attanaglia l’anima, fin da ragazzo. È per me, da sempre, una delle più inutili e mistificanti aporie cui, annualmente – ahimè! -, continuo ad andare incontro. In sintesi: perché mai, per celebrare la Resurrezione di Cristo – si noti la “r” maiuscola, grazie! -, si è soliti “pubblicizzare” – quotidianamente -, attraverso i propri costumi ed i propri canoni di vita (consumistici), la strage di animali innocenti ed il consumo di carne che ne segue? Sono incuriosito. Sul serio. È una pratica sportiva, per caso? Fate stretching al vostro stomaco, durante l’anno, per prepararlo a siffatta gara? Congratulations.

Domanda stupida? Ovvio che lo sia! Come dite? Sono un proselite del politically correct? Senza alcun dubbio! Come? Sono un ignorante buonista, vegano, vegetariano, fruttifero echinehapiùnemettaevattelaapescamachitessencula? Presente! Perdonatemi, chiedo venia ma… da “buddista pagano tatuato che passa il tempo ad ascoltare i Nirvana”, sento – come dire?!? – un fremito anale talmente fastidioso da obbligarmi a continuare questa disquisizione – faccio già uso di creme rettali… non suggeritemele, grazie -.

Capisco che lo spargimento di sangue non debba mai avere fine. Capisco anche come non ci si debba fermare dinanzi a quello che, a tutti gli effetti, resta una stupida manifestazione consumistica. Che nessuno osi arrestare il proseguo delle tradizioni – Viva il presepe! Viva il Re! -! Però… ecco… da pagano irriverente che, da tempo immemore, oramai, non crede più al genio maligno cartesiano ed ha accettato l’idea che 2+2 farà sempre – e solo! – 4, indipendentemente dal punto di vista cui si vada affidandosi, trovo antropologicamente meraviglioso come per festeggiare il proprio Salvatore, invece di affidarsi al digiuno o alla preghiera o alla più misericordiosa e compassionevole delle empatie verso l’altrui esistenza, ci si adoperi al fine di foraggiare quello che altro non è che un consumismo sfrenato, viziato, inutile, non appagante ed umiliante. Perché nei riguardi della Vita ampiamente intesa, di umiliazione ingiustificata va trattandosi.

Adesso che abbiamo impanato, fritto e mangiato l’Agnello di Dio che toglie i peccati del Mondo, passiamo al coniglio? Spolveriamo un po’ di storia pagana, mentre le patate si scaldano sopra i fornelli? Bene.

Nella tradizione pagana esistevano feste – i Sabba – che avevano il compito “socio-culturale” di scandire lo scorrere delle stagioni. Erano, quindi, legate ai movimenti del Sole – peccato che oggi non esistano più le mezze stagioni… argh! -. Vi erano otto Sabba in tutto. Quattro Sabba Minori – Yule, Ostara, Litha e Mabon – e quattro Sabba Maggiori – Imbolc, LammasBeltaneSamhain -. Nello specifico, il Sabba Ostara era una festa che veniva celebrata in concomitanza all’Equinozio di Primavera e, quindi, a ragion veduta, si trattava di una ricorrenza che sanciva la Rinascita, la Rigenerazione ed il Ritorno alla Vita – evviva ben tre “r” maiuscole! -. Attenzione, però! Rinascita, Rigenerazione e Ritorno alla Vita tanto per l’Uomo quanto per gli Animali e per la Natura… perché sì, purtroppo è così, anche il più radicale e sfrenato degli antropocentrici deve adesso accettare il fatto che condividiamo questo Pianeta con altre forme di vita. Pax vobis!

Ostara era anche la festa dedicata ad una divinità femminile: Eostre. Si tratta di una Dea che risale alla tradizione germanica, legata, in special modo, al culto della Fertilità. Cosa c’entra Eostre con la Pasqua? Boh! Dove vuole arrivare, con queste fandonie, questo pagano irriverente? E che ne so, aspettate che apro Wikipedia

Le parole Ostara ed Eostre rimandano ai termini inglesi Oster ed Easter – che mi pare indichino la Pasqua… ops, la Santa Pasqua -. Il termine anglosassone Ēosturmōnaþ significa “mese di Eostre” e viene menzionato dal monaco inglese Beda all’interno dell’opera De temporum rationae (725 d.c.), utilizzando la parola Eosturmonath. La fonte dell’esistenza di siffatto pinco pallino? Dante Alighieri nella Divina Commedia. Ma cosa c’entra questa dea teutonica con il coniglio da fare con le patate? Uhm…

Questi stupidi pagani, che credevano che i miti potessero svolgere delle importanti funzioni didattiche – Pico della Mirandola non aveva capito niente! -, ci hanno tramandato una leggenda. Un giorno Eostre, mentre passeggiava all’interno di un fitto bosco, durante una fredda giornata d’inverno, scorse a terra un uccello ferito ed in procinto di morire. La Dea fu mossa a compassione e, per salvare la vita all’animale, lo tramutò in un coniglio. Ma – rullo di tamburi! – decise di non privarlo della sua capacità di deporre le uova. Da allora, tutti gli anni, con il ritorno della Primavera, il coniglio di Pasqua riappare e depone le sue uova, così che i bambini (buoni) possano trovarle.

L’Uovo simboleggia la Rinascita. Il Ritorno alla Vita. La vera Palingenesi. È per questa ragione che oggi le mangiate lesse o al tegamino o, magari, strapazzate… le uova, intendo. È una tradizione pagana.

Ecco, allora… lasciate il coniglio e fatevi una frittata – critiche vegane in tre, due, uno… -.

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