Anthony Ashley-Cooper, III Conte di Shaftesbury, Lettera sull’entusiasmo (1708). Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.L’ispirazione, infatti, è un sentimento reale della presenza divina, mentre l’entusiasmo è un sentimento falso. La passione che essi suscitano, tuttavia, è molto simile. Quando la mente è immersa in una visione e fissa il suo sguardo su un oggetto reale o su un mero fantasma della divinità; quando essa vede, o crede di vedere, cose prodigiose o sovraumane; allora il suo orrore, il suo piacere, la sua confusione, paura, ammirazione, o qualunque altra passione appartenga o prevalga in questa circostanza, avrà qualcosa di vasto, di immane e (come dicono i pittori) che va oltre la vita. Questo è ciò che ha dato origine alla parola “fanatismo” secondo l’accezione degli antichi, nel suo senso originario di “apparizione che rapisce la mente”. […]
Cosicché l’ispirazione può essere giustamente definita “divino entusiasmo”, perché la parola stessa significa presenza divina, e venne usata dal filosofo che i primi padri della Chiesa chiamarono “divino” per esprimere qualunque cosa fosse sublime nelle passioni umane. Era questo lo spirito che egli attribuiva agli eroi, ai governanti, ai poeti, agli oratori, ai musici e perfino agli stessi filosofi. Né possiamo deliberatamente astenerci dall’ascrivere a un nobile entusiasmo qualunque cosa sia stata ampiamente realizzata da costoro. Cosicché quasi tutti conosciamo qualcosa di questo principio. Ma conoscerlo come dovremmo e distinguerlo nelle sue diverse forme, sia in noi che negli altri, questo è il grande compito da svolgere, e soltanto attraverso esso possiamo sperare di evitare ogni illusione. Poiché, per giudicare se gli spiriti vengono da Dio, dobbiamo prima giudicare se il nostro spirito viene dalla ragione e dal senno, se sia adatto a giudicare con calma, freddezza, e imparzialità, libero da ogni passione totalizzante, da ogni vapore che dia le vertigini, o che sia malinconico. Questa è la prima cosa da sapere, e la premessa di ogni giudizio: comprendere noi stessi e sapere quale sia il nostro spirito. Solo dopo potremo giudicare lo spirito degli altri, considerare quale sia il loro merito personale e appurare la validità della loro testimonianza in base alla solidità della loro mente. In questo modo potremo procurarci un antidoto contro l’entusiasmo. E ho osato affermare che ciò si ottiene al meglio mantenendo il buon umore. Poiché, altrimenti, il rimedio stesso potrebbe trasformarsi in malattia.