Inizierò con il fornire un quadro di riferimento generale, per quanto concerne il pensiero di Bourdieu, evidenziando, fin da subito, i principali contributi che le sue riflessioni hanno posto nei riguardi della sociologia. Soltanto in un secondo momento, andrò soffermando la mia attenzione su un aspetto particolarmente interessante – nonché attualissimo – del suo stesso disquisire, ovvero quello relativo al rapporto tra i sessi all’interno dei contesti sociali e alla predominanza del ruolo maschile in ambito – e non solo – relazionale.
Il punto di partenza per l’analisi di un contesto sociale è la definizione dell’idea di “campo sociale”. Questo perché, sostiene Bourdieu, la società non è da intendersi né come una realtà a sé stante, ovvero definita in sé e per sé, né come una realtà unitaria – nel senso anche di “internamente differenziata ma retta dalla condivisione di una cultura comune e predominante” -, frutto o di un “compromesso funzionale” – un contratto sociale, ad esempio – o di una vera e propria “necessaria imposizione” – cfr. Hobbes -. Cos’è, dunque, questa idea di “campo sociale” da cui prende vita l’approccio all’analisi del contesto sociale?
Bourdieu possiede una visione alquanto spaziale – quasi topografica, oserei dire – della società, stando alla quale il campo sociale sia da intendersi alla stregua di un vero e proprio spazio, a più dimensioni, entro il quale, in modo relazionale, vanno collocandosi e distribuendosi i “gruppi sociali”. A loro volta, gli stessi gruppi sociali vanno strutturandosi secondo un precisa organizzazione interna, dove gli “attori sociali” si collocano sulla base del peso relativo posto in essere da due dinamiche: da una parte, il “volume globale del capitale posseduto” e, dall’altra parte, la composizione dello stesso. In sintesi: all’interno di un gruppo sociale, l’attore si distribuisce, si muove e si colloca, in base al peso relativo esercitato dalle differenti forme di capitale sul capitale complessivo in suo possesso. Questo determina il sorgere e l’evolversi dei rapporti interrelazionali dell’io con l’alter ego.
La struttura fondante lo spazio sociale è, quindi, relazionale. Inequivocabilmente, relazionale. Ogni attore sociale è “interpretabile” sulla base del suo relazionarsi all’interno del gruppo sociale ed ogni gruppo sociale è interpretabile sulla base dei rapporti che ha instaurato con gli altri gruppi sociali con i quali condivide lo spazio medesimo. In sintesi: le posizioni sociali occupate dagli attori – o agenti – si definiscono sempre su base relazionale, ovvero secondo i rapporti esistenti. E questo vale per qualsivoglia dimensione si rivolga l’analisi – economica, culturale, educativa, simbolica et similia -. Alcuna posizione, all’interno del campo sociale, può essere definita se non in virtù del fatto che esistono relazioni verso le quali la stessa è legata reciprocamente o contrapposta od opposta e via discorrendo. Motivo per cui, la società, afferma Bourdieu, è, al contempo, “sistema di posizioni” e “sistema di differenze”.
All’interno del campo, gli agenti sociali si confrontano in base alla posizione occupata e alle risorse possedute e a quelle specifiche del campo medesimo – il “capitale” di cui sopra -. Bourdieu, metaforicamente parlando, considera il campo sociale alla stregua di un vero e proprio campo magnetico, ove si trovano forze collegate e contrapposte le une alle altre, coinvolte in una situazione di interdipendenza reciproca, dalla quale dipende l’esistenza stessa del campo medesimo. Il campo è uno spazio – per lo più – “conflittuale” nel senso che gli agenti, dalle posizioni che vanno occupando, “lottano” per difendere o migliorare le loro stesse collocazioni e per inficiare la distribuzione delle risorse.
Occorre fare una doverosa puntualizzazione.
Le posizioni all’interno del campo, sostiene Bourdieu, sono da considerarsi “oggettive”. Che cosa significa questo? Vuol dire che le posizioni sono (oggettivamente) determinate da come il capitale è distribuito all’interno del campo. Gli agenti sociali, quindi, sono definiti – come abbiamo in parte già sottolineato -, dalla dotazione di una quota specifica di capitale che li colloca in una posizione. Rigirando il punto di vista, potremmo sostenere come gli attori sociali siano collocati, all’interno del campo, in posizioni alle quali sono attribuite “quote differenziali” del capitale esistente. Questo fa sì che il capitale “specifico” finisca con l’apparire al pari di una vera e propria caratteristica intrinseca della posizione occupata dagli attori sociali… motivo per cui quest’ultimi lottano per difendere e migliorare la propria posizione occupata. Il concetto generico di “ascesa sociale” – o, più banalmente, se vogliamo, “lavorativa” – altro non è che una “conversione” di una certa forma di capitale in un’altra, tale da permettere all’attore coinvolto di assicurarsi una posizione di “privilegio” all’interno di un campo che è prossimo a quello nel quale andava precedentemente trovandosi collocato.
La “interdipendenza conflittuale” che unisce i vari attori sociali e la possibilità di “conversione del capitale” fanno sì che il campo sia sempre in perenne movimento e soggetto a trasformazioni e cambiamenti. Si tratta, quindi, di uno spazio in cui vigono sì equilibrio ed oggettività delle posizioni distribuite ma che, al contempo, si palesa essere anche profondamente dinamico. L’equilibrio attuale, infatti, è il risultato delle “lotte” precedenti e, allo stesso tempo, punto di partenza per i cambiamenti futuri.
Per il momento fermiamoci qui.
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