LA MORTE E L’ANIMA.


Nonostante questo dovuto omaggio al mondo della medicina, mi sento di difendere ancor oggi le cose che scrissi in questo libro trentacinque anni fa. L’anima ha affinità con la morte al di là della malattia e della disfunzione, che non sono gli unici messaggeri della morte. Dunque la morte non può essere appannaggio esclusivo della medicina. L’intrinseca affinità dell’anima con il mondo infero e con l’aldilà distingue ontologicamente l’anima da qualsiasi modello medicalista, che definisce vita e morte in base a concetti propri della medicina. Non è detto che la morte cerebrale dia la vera misura della morte, e del resto anche questa misura della morte puramente fisica è stata contestata. Ciò che sostiene la vita non può certo essere ridotto a un sistema per mantenere in vita. Finché le complessità, e le tortuosità, della morte vengono confinate in definizioni mediche, non è facile mantenere unite medicina e anima. Esse divergono e finiscono per contrapporsi, perché la prima diventa dipendente da procedimenti farmaceutici e meccanici sempre più spinti, e l’altra cede alle lusinghe della serenità spirituale.

James Hillman, Il suicidio e l’anima (1964).

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