Io credo che il nome «Hop-Frog» non fosse quello dato al nano dai suoi padrini al fonte battesimale, ma gli era stato conferito, per generale consenso dei sette ministri, causa la sua incapacità a camminare come gli altri uomini. Hop-Frog poteva procedere innanzi soltanto grazie a un’andatura a scatti, qualcosa tra un balzo e un contorcimento, un moto questo che offriva un divertimento illimitato, e naturalmente una notevole consolazione al re, poiché (nonostante la protuberanza del suo stomaco e un rigonfiamento congenito della testa) il re era ritenuto da tutta la sua corte un uomo bellissimo.
Il nome “Hop-Frog”, letteralmente, significa “saltaranocchio” ed è proprio lo stesso Poe a spiegarci, fin troppo bene, il perché di quello strano ed irrisorio epiteto. Niente ci è dato sapere del piccolo e deforme nano. Niente. Quale sia il suo vero nome – «Io credo che il nome “Hop-Frog” non fosse quello dato al nano dai suoi padrini al fonte battesimale […].» – o quale Paese gli abbia conferito i natali – «Non sono in grado di dire con precisione quale fosse la patria d’origine di Hop-Frog.» -. Anzi. Su quest’ultimo punto l’unica informazione di cui veniamo a conoscenza è che «doveva trattarsi di qualche regione barbara di cui nessuno aveva mai inteso parlare… assai lontana dalla corte del nostro re.»
Alla figura contorta di Hop-Frog si contrappone quella della sua amata: Trippetta. Tanto differente dal suo compagno nano, sia per aspetto che per indole, quanto legata a lui in un modo del tutto indissolubile:
Date queste circostanze non è da stupire che tra i due piccoli prigionieri si stabilisse una stretta intimità. Essi infatti divennero ben presto amici per la pelle. Hop-Frog, che, per quanto vivacissimo, non era affatto popolare, non aveva grandi possibilità di rendere molti servigi a Trippetta; questa, invece, per via della sua grazia e della sua bellezza squisite (benché nana) era universalmente ammirata e vezzeggiata. Ella perciò possedeva molta influenza, e non mancava mai di usarla, ogni qualvolta le era possibile, in favore di Hop-Frog.
Il racconto di Poe ruota tutto quanto attorno ad una ben precisa tematica: la vendetta. A dire il vero, il movente che spinge Hop-Frog a scatenare la propria indole omicida è quanto di più “classico” si possa sperare di trovare in un racconto del genere, ovvero il dover rispondere all’affronto rivolto contro la propria amata:
Capisco ora chiaramente, – disse, – che razza di gente sono queste maschere. Si tratta di un grande re e dei suoi sette consiglieri privati, un re che non si fa scrupolo di schiaffeggiare una ragazza indifesa, e i suoi sette consiglieri che lo incitano all’oltraggio.
Nonostante il tema dell’intero racconto possa apparire alquanto “scontato”, due sono gli aspetti particolari attorno ai quali si sviluppa l’intera vicenda. L’inganno orchestrato dai due piccoli amanti, da una parte. La sete di sangue di Hop-Frog, dall’altra. In riferimento proprio a questo ultimo punto, vi è un elemento narrativo particolarmente intenso e profondo, all’interno del racconto di Poe: lo stridere ed il feroce digrignare dei denti del piccolo protagonista. Si tratta del suono che dà inizio all’inganno e, successivamente, alla vendetta. Si tratta del gelido ed insopportabile rumore che ci permette di cogliere il crescendo impetuoso ed inarrestabile della brama di vendetta del nano deforme. Confuso inizialmente dalle ignare vittime con il beccar di un pappagallo sulle grate di una finestra, i rumori funesti e rabbiosi, provenienti dalla piccola bocca di Hop-Frog, permettono al lettore di cogliere quanto sia sul punto di accadere:
Ma ormai non era possibile ingannarsi sulla provenienza del rumore. Esso usciva dai denti a zanna del nano, che li digrignava e arrotava pur schiumando dalla bocca e guatando con un’espressione di furore maniaco i volti alzati del re e dei suoi sette compagni.
La vendetta è estremamente sadica. Tanto quanto violenta è la morte che avvolge tutte le otto vittime, ree di aver oltraggiato la dolce Trippetta. Curiosa ma, al contempo, profondamente raggelante (anche) l’ultima frase gridata da Hop-Frog alla folla sbigottita e terrorizzata, prima di scomparire per sempre nell’oscurità:
In quanto a me, non sono che Hop-Frog, il buffone, e questa è la mia ultima buffonata.
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