L’ORGOGLIO DI BELLEROFONTE.


Ipponoo, principe di Corinto, appartiene ad una stirpe maledetta. Maledetta dagli Dei. Maledetta dalla sua stessa natura. Suo nonno Sisifo, infatti, osò ingannare Zeus: da allora trascorre l’eternità a portare sulla cima di un monte una gigantesca roccia, la quale, tutte le volte, non tarda a rotolare nuovamente a valle, obbligando l’uomo a compiere daccapo l’intera ardua impresa. Suo padre Glauco, al contrario, continuò, per tempo immemore, a dare in pasto alle proprie giumente della carne umana, nel deviato desiderio di renderle più ardite; gli Dei hanno fatto sì che le stesse potessero, infine, banchettare con il corpo del loro macabro padrone.

Ipponoo non è alieno da cotanta superbia e cieca ambizione. È un giovane ossessionato. Ossessionato dalle impossibili imprese che, senza concedergli la benché minima tregua, continuano a perseguitarlo nei sogni. Fra queste, la più audace di tutte: domare il divino puledro, nato dal sangue di Medusa. L’alato cavallo di Pegaso. L’intero mito, del resto, si commista, in gran parte, a quello della creatura ultraterrena.

Minerva benedice l’impresa del giovane, aiutandolo a domare e comandare la indomita fiera. Ma ciò non sminuisce la brama di affermazione ed il desiderio di riconoscimento del principe. Egli diviene così la causa della morte del suo stesso fratello, Bellero, il quale viene colpito accidentalmente dagli zoccoli del possente equino. In fuga da Corinto, alla ricerca di una disperata redenzione e di nobili gesta che possano nuovamente elevarlo allo status di eroe, Ipponoo, ora chiamato con il nome di Bellerofonte – “l’uccisore di Bellero” -, trova riparo prima a Tirinto e poi a Xanto, dove, assieme al proprio compagno alato, riesce finalmente in un’impresa degna dei più grandi: uccidere la Chimera.

Il mito di Bellerofonte tratta il tema della superbia e dell’orgoglio e si mostra tutt’oggi ancora molto “particolare”, dato che in esso viene narrata la caduta di un eroe. La brama del principe, infatti, diviene talmente insaziabile, da fargli credere di avere il pieno diritto di volare fin sulle vette inarrivabili del Monte Olimpo, di modo così da palesarsi – di sua spontanea iniziativa! – agli occhi degli Altissimi. La morte di Bellerofonte, causata dal disarcionamento da Pegaso, su volere dello stesso Zeus, rappresenta allegoricamente la punizione inflitta a tutti coloro che, osando travalicare i limiti imposti alla loro natura, si ritengano stupidamente degni di compiere gesta al di là di ogni umana comprensione ed accettazione.

Emblematica la scena finale: durante la sua caduta, infatti, l’eroe osserva il fidato Pegaso, incurante del suo cavaliere, venire accolto amorevolmente dalle carezze del Padre Celeste. Perché solo agli immortali e a coloro che sono stati benedetti dai Divini viene concesso ed  elargito il diritto di sostare entro la Dimora degli Altissimi.

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