Abbiamo già sottolineato più volte come lo Zen non debba essere paragonato ad una mera lettura nichilistica della realtà. Lo Zen, infatti, è affermazione. Allo stato puro. Sempre e comunque. L’errore in cui possiamo imbatterci e che potrebbe condurci a ritenere l’essenza dello Zen esprimibile in una negazione della Vita, risiede nel fatto che lo stesso travalica – inevitabilmente! – la ricezione e comprensione dualistica della realtà. Siamo portati a ragionare attorno al binomio “vero/falso” o “sopra/sotto” o “questo/quello” et similia. Ebbene lo Zen è vero e falso, è sopra e sotto ed è anche questo e quello. Ma tutto questo non significa contingenza. Non una chiave di lettura filosofica che sia alternativa alla logica. Niente di tutto questo. È l’Essenza. È l’Assoluto. Il comprendere come niente debba ridursi, ai fini della propria giustificazione e legittimazione esistenziale, ad una agnizione intellettuale di sé medesimo. Lo Zen è un fatto. Un puro fatto. Una manifesta affermazione del proprio essere. Non è questo, non è quello e non è niente perché è necessario comprendere come la chiave di lettura per coglierlo debba essere diversa da ogni interpretazione logica della vita. Di modo da rendersi conto di come, effettivamente, sia questo, sia quello e sia tutto. Perché l’Assoluto deve essere colto, in quanto tale, all’interno di ogni relativo che si palesa o che viene assunto.
Possiamo, dunque, sostenere come lo Zen sbocci in una negazione. Una negazione nei riguardi della quale, però, esso non rivolge mai la propria essenza. Già questa consapevolezza può essere ritenuta un satori. Una illuminazione. La prima, forse. La più importante, oserei affermare. Perché comprendere quanto sia necessario che lo Zen si affermi e si palesi attraverso una negazione, altro non sottolinea che la nostra ignoranza. Se non fossimo, difatti, succubi del metodo logico – tanto nella ricezione della vita quanto nella sua stessa spiegazione -, non saremmo affetti da siffatta ignoranza e potremmo avvicinarci allo Zen, travalicando quella negazione di cui sopra. Finiremmo con il capire come la neve non sia bianca perché “logicamente bianca” ma sia non bianca, pur avendo in sé anche il bianco… una osservazione, al pari di molte altre, che evidenziano come il linguaggio logico sia incapace di vedere lo Zen e di descriverlo e di comunicarlo attraverso i propri consolidati sistemi linguistici.
Se lo Zen fosse negazione, allora non avremmo niente. Non otterremmo niente. Non ci resterebbe alcunché. In quanto, invece, puro atto che si afferma, si manifesta e si rende palese, abbiamo il modo di cogliere l’essenza di quel qualcosa verso cui si è rivolto il nostro nuovo occhio sul Mondo. Lì possiamo cogliere la purezza di un qualcosa che si rivela per ciò che è. Semplicemente questo. Un qualcosa che tanto difficilmente riusciamo a cogliere e che tende, immediatamente, a scappare via, una volta scorto e scrutato. Cogliere ed impossessarsi di questo fatto di vita. Questo è lo Zen. Individuare lo Spirito che avvolge il Tutto. Trovare l’Assoluto in ciascun relativo. Accettare il fatto che il Buddha si rivela nell’attimo in cui non è più affermato. Dove può mai risiedere il nichilismo in tutto questo?
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