“INTENTO” E “PRATICA”.


  • Studiare l’intento:

Il metodo per studiare l’intento è mettere da parte ogni comprensione intellettiva e ogni valutazione emotiva e guardare direttamente una massima o un racconto.

Anche se stai leggendo testimonianze di antiche massime o stai ascoltando la lezione di un maestro, se dimentichi ciò che è nella tua mente e ti apri, non producendo razionalizzazioni di ciò che stai leggendo o ascoltando, questo è studiare l’intento.

 

  • Applicazione pratica:

Secondo le scritture buddiste, anche chi è erudito, fintanto che non mette in pratica la sua erudizione, non è diverso dall’ignorante. Questo vale anche per le attività mondane: capire i principi e discuterne può essere piuttosto facile, ma l’applicazione pratica non è altrettanto facile.

Molti eruditi si limitano a pontificare e non affinano davvero la loro mente. Questo perché non raggiungono i risultati dei saggi di cui studiano i libri.

Quando era in vita, Confucio insegnava ai suoi discepoli i principi della benevolenza, della giustizia, della cortesia, dell’intelligenza e della sincerità e faceva mettere in pratica questi principi. Quando Confucio testimoniava che tal-dei-tali aveva appreso la benevolenza o che tal-dei-tali aveva appreso la giustizia, parlava di persone dal cuore benevolente o giusto, non di persone che avessero puramente imparato a parlare di benevolenza o giustizia senza però avere nel cuore benevolenza o giustizia.

Alcuni studiosi successivi di Confucianesimo, tuttavia, affermavano di essere maestri di dottrina confuciana non appena avevano imparato le definizioni di benevolenza e giustizia, senza aver coltivato nel loro cuore la benevolenza e la giustizia.

Lo stesso vale anche per il Buddismo. Quando Budda era al Mondo, non tutti i suoi seguaci furono geni che raggiunsero rapidamente la liberazione e diventarono liberi, ma anche quelli di facoltà mediocri e scarse che si attennero alle istruzioni del Budda e le misero in pratica ottennero dei benefici a seconda delle loro capacità. Anche dopo la morte del Budda tutti coloro che praticarono la dottrina in modo appropriato ottennero qualche beneficio. Questo perché seguivano il Buddismo soltanto per la liberazione e la salvezza di tutti gli esseri viventi, non per la condizione sociale e il profitto materiale.

In tempi successivi molte persone, monaci e laici, seguirono e studiarono il Buddismo per amore della reputazione e del profitto materiale. Pertanto non progredirono nella vera coltivazione di sé e nell’affinamento. Pensavano che bastasse apprendere le dottrine delle varie scuole. Di conseguenza, più erano eruditi, più diventavano presuntuosi.

In conseguenza di tutto ciò, mentre le persone comuni hanno soltanto il consueto io personale, gli studiosi del Buddismo vi aggiungono anche un io religioso. Pertanto anche studiosi di eccezionale erudizione potrebbero non essere diversi dai più disgraziati miscredenti in fatto di reale modo di vivere e di essere.

La dottrina Zen dice che è meglio praticare poco che parlare molto. I maestri Zen pertanto raccomandano che la comprensione erudita sia subordinata allo studio attraverso l’esperienza personale.

Nondimeno giunse il momento in cui persino gli studiosi Zen si dedicarono a svaghi letterari e divennero tanto orgogliosi della loro erudizione che non provavano vergogna di non avere alcuna reale esperienza di illuminazione.

Muso Kokushi

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