“Equivocità” ed “univocità” sono nozioni prettamente aristoteliche. “Equivoche” sono le particolarità che possiedono il medesimo nome ma non condividono la stessa definizione – ad esempio, “cane” quando ci riferiamo, ora, all’animale a quattro zampe e, ora, alla costellazione -; “univoche”, invece, sono tutte quelle particolarità che, tra loro, condividono tanto il nome quanto la definizione – ad esempio, “animale” tanto che ci riferiamo ad un cavallo o all’uomo stesso -.
La “analogia” è utilizzata per indicare l’uguaglianza e/o la identità dei rapporti in una proporzione “classica” del tipo a:b=c:d. Aristotele sfrutta l’analogia non tanto per mostrare che i principi di tutte le cose sono tra loro uguali o identici in senso reale quanto, piuttosto, per evidenziare come, in senso analogico e/o funzionale, vi sia somiglianza nel modo in cui gli stessi si rapportano alle particolarità – una statua sta alla sua materia proprio come un’altra statua sta alla sua materia… le statue non sono uguali e nemmeno i materiali usati devono esserlo… ciò che non muta è la proporzione -.
Nel Medioevo il concetto di “analogia” muta sensibilmente. “Analoghe” sono le particolarità che condividono il nome, mentre il significato (espresso dalla definizione) viene ad esse riferito in “modo diverso” e/o a “titolo diverso”. Questo succede perché, ad esempio, il significato viene applicato ad una cosa in “modo proprio” e ad un’altra in “modo improprio” – l’essere si dice “propriamente” della sostanza ed “impropriamente” delle altre categorie -.
L’analogia viene però impiegata anche per cercare di comprendere il legame che sussiste tra Dio e le particolarità, ovvero tra la essenza divina e l’essenza creaturale. A tal riguardo sono interessanti le posizioni assunte da Enrico di Gand e Duns Scoto.
Enrico di Gand sostiene che uno dei grandi limiti del nostro intelletto sia quello di non riuscire a cogliere la indeterminatezza dell’essenza di Dio e del concetto universale di “essere”. Dio è indeterminato perché, per sua stessa natura, non può essere determinato in alcun modo. Il concetto di “essere” è, invece, talmente generale da necessitare di “determinazioni specifiche” – pietra, albero, uomo et similia -. Siamo molto spesso, quindi, portati a ragionare in termini di univocità, ovvero a considerare del tutto simili l’essenza divina e l’essenza creaturale. Da un punto di vista gnoseologico, invece, dobbiamo cogliere la distanza ontologica che intercorre tra tali due realtà e sfruttare l’analogia per evidenziare come le particolarità tendano ad imitare ciò da cui provengono. Secondo Enrico di Gand, infatti, l’oggetto primario del pensiero di Dio è Dio stesso, ovvero Dio che ha coscienza di sé medesimo. L’oggetto secondario è, invece, l’esse essentiae ovvero l'”essere dell’essenza”. L’essenza divina si rapporta all’essenza creaturale come forma e all’esistenza creaturale come causa efficiente. In sintesi: le idee nella mente di Dio sono finite ed è Dio stesso che delibera quali tra esse prenderanno forma e vita nella realtà sensibile. Ciò che esiste, quindi, esiste sì necessariamente ma solo perché Dio ha deliberato circa la sua esistenza. Si tratta di un “delicato equilibrio” tra necessitarismo e contingenza – Duns Scoto parla proprio di un Dio che “se pensabile esiste necessariamente ma non agisce necessariamente”, evidenziando come la contingenza sia la più pura e chiara manifestazione di libertà da ascrivere al Creatore -. Il fatto che l’oggetto secondario venga ascritto a particolarità che tendono ad imitare l’essenza dalla quale derivano, fa sì che l’analogia sia l’unico strumento per rapportarsi alla conoscenza di siffatto legame. La strada però non può che essere quella della teologia negativa in quanto lo studio degli effetti non permette di risalire alla conoscenza della causa. Tale impossibilità viene mostrata proprio dalla analogia stessa, ovvero dal non poter considerare in modo univoco Dio e le creature.
Duns Scoto rifiuta l’idea della analogia e riabbraccia quella della univocità. Se la metafisica è da intendersi come una grande ontologia generale che ha per oggetto non Dio ma, bensì, l'”ente in quante ente”, ad essa può essere ascritta anche la teologia, ovvero lo studio di un ente “più specifico”: l’ente infinito, cioè Dio. Essendo l’essere un concetto tanto unico e generale, esso include in sé l’essere di Dio e delle creature. Da un punto di vista intellettivo, vi è un invito a proseguire “in modo lineare” dall'”ente in quanto ente” all’ente infinito.
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