Perché è davvero così. Ieri sera, mi è balzata in mente quella sfortunata battuta rilasciata su Twitter dal”renziano” Carbone, all’indomani del referendum sulle trivelle. Sembrerebbe che il karma abbia predisposto una nuova legge ancestrale, secondo la quale chi di #ciaone ferisce, di #ciaone poi perisce. Ma scherzi a parte, tralasciando tutte le riflessioni più prettamente politologiche e legate all’analisi dei flussi elettorali – che è possibile reperire ovunque, del resto -, finito questo (benedetto) referendum, mi sono rimasti in testa due chiodi fissi di cui faccio una profonda fatica a liberarmi. Il primo è, per lo più, riconducibile ad un’analisi rivolta nei riguardi del corpo sociale che ieri, in massa, ha optato per il no. Il secondo, al contrario, è un quesito: forse retorico o forse meramente provocatorio ma tenete sempre bene a mente che tutte le mie provocazioni sono sempre rivolte con l’intento di sviluppare un’alternativa chiave di lettura su quanto accade nei contesti di interesse collettivo e/o nazionale. Vediamo anche di adottare un linguaggio più informale del solito per questa occasione.
Ho sopra accennato a questa interpretazione sociologica rivolta da me al corpo elettorale. Beh, da una parte, vi è effettivamente da sostenere che raggiungere un 40% di voti di consenso con l’intero Paese contro – e qui ribadisco, per l’ennesima volta, che la personalizzazione, con conseguente esito dai connotati politici, di questa indizione referendaria sia stata, oltre che un vero e proprio harakiri, sbagliata in termini di “purezza politica” – sia un risultato alquanto ragguardevole, che dovrebbe interrogare/ci sull’avvenuto o meno “decesso politico” della compagine “renziana”. Ma è quel 60% di contrari ad interessarmi. Esatto perché se il fronte del sì ha, comunque, una sua propria identità politica – rappresentata sia dall’apprezzamento a Renzi sia dal giudizio positivo rilasciato a questo progetto di revisione costituzionale (badate che i due elementi non necessariamente coincidono) -, sul fronte del no è particolarmente difficile riuscire a comprendere da quale forza esso stesso sia stato unicamente ed indivisibilmente rappresentato. Fiom, Lega Nord, M5S, FI, ANPI, Fratelli D’Italia, minoranza dem, e via discorrendo, rappresentano una coalizione multicolore di difficile discernimento in questa situazione. Ed il motivo di questa difficoltà è rappresentato dal fatto che una buonissima parte dell’esito negativo non può essere imputato solo al diniego della modifica costituzionale strincto sensu, quanto piuttosto all’opportunità – concessa dallo stesso premier (vedi sopra) – di giudicare direttamente la persona e l’operato del Presidente Del Consiglio. Non è, quindi, aprioristicamente possibile ricondurre il tutto ad una logica del tipo “noi abbiamo difeso la Costituzione”; quel 60% è portatore di un forte malcontento che in termini particolaristici ha trovato soddisfazione e gratificazione ora in un movimento, ora in un altro, ora in un altro ancora, tutti legati poi al Comitato del no. La speranza, dunque, è che sia sul piano della realtà sociale sia su quello della res publica vi sia la comprensione di quanto accaduto e la volontà di assumersi la responsabilità (civile) di quanto questo oggi comporti: è necessario che quel 60% trovi una legittimazione univoca sul piano istituzionale e che, al contempo, la cittadinanza medesima pretenda a gran voce un tale perseguimento. Questa è stata una delegittimazione popolare di un Esecutivo. A tutti i politologi – persino a quelli improvvisati in Rete – spetta il dovere civile di prenderne atto.
Ora il quesito. Voglio mettere le mani avanti sostenendo, fin da subito, che mi sto affidando alla mia memoria. Se non erro, infatti, durante la “navetta parlamentare” solo Lega Nord e M5S hanno sempre osteggiato e votato contro al ddl Boschi. Mettendo da parte alcune forze contrarie extra-parlamentari – ancora oggi grida vendetta l’esser riusciti ad adirarsi contro le realtà legate all’ANPI et similia (le congratulazioni vanno alla suddetta ministra) -, domando: “Ma se questa riforma era pessima, sbagliata, offensiva e denigratoria nei riguardi (anche) dei nostri “padri costituenti”, com’è possibile che sia stata votata da tutti?”. E rincaro la dose: “Per quale motivo si è dovuto poi, improvvisamente, cambiare idea ed invitare il proprio elettorato a votare contro?”. Mi pare di aver assistito (per l’ennesima volta), tra i partiti ed i loro elettori, ad una totale mancanza sia di comunicazione sia di senso di reciproca responsabilità. Se il mio partito avalla un disegno di legge in Parlamento ma mi chiede poi di bollarlo come carta straccia in sede di votazione popolare, cosa mai dovrei pensare? Se poi quello stesso partito, durante tutta la campagna referendaria, continua a ripetermi che il mio sarà un voto non contro il Governo ma, bensì, contro la legge – e quindi mentendo sapendo di mentire -, è mai possibile che né il cittadino – a meno che non sia indottrinato o fazioso – né la forza politica siano responsabili di niente? Non sarebbe stato meglio – oltre che moralmente corretto – bocciare questo ddl fin da subito, con la speranza poi di evitare anche il referendum medesimo – che, fra parentesi, proprio poco non è costato ai contribuenti -? Voglio dire, continuo ad assistere ad una totale assenza di comunicazione e di “responsabilizzazione” sia nei riguardi della cittadinanza sia di chi ne dovrebbe garantire, tramite la rappresentanza, i diritti.
Ad ogni modo, dopo aver evocato per mesi e mesi i “padri costituenti”, sono sicuro che adesso le nostre varie compagini politiche faranno esattamente come fecero i suddetti: metteranno da parte le ostilità, le distanza ideologiche e gli interessi particolaristici. Lavoreranno assieme per la promulgazione di una corretta legge elettorale e per una modifica efficace della Carta Costituzionale. Non è vero, sto mentendo. Il fatto è che ho iniziato nuovamente a sentire l’odore del solito brodo riscaldato: «votare al più presto»,«subito al voto», «governo tecnico per una legge elettorale e poi subito al voto» ed i soliti ed ultra-decennali bla, bla, bla e superbla.
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