COMMENTI SCOMODI (?).


Verba volant, scripta manent. Perché, per davvero, si corre il “rischio” di giustificare un panorama del tutto particolare, d’ora in avanti, all’interno dello sconfinato “mondo virtuale”. La Corte Di Cassazione ha, difatti, condannato per concorso in diffamazione il gestore di un sito privato per la non pronta cancellazione di alcuni commenti diffamatori, rilasciati da un terzo all’interno proprio della piattaforma di sua proprietà. Ogni gestore è divenuto, quindi, responsabile di qualsivoglia tipo di commento – anche di quelli anonimi, dunque – pubblicato sul proprio spazio virtuale. E questo indipendentemente dal fatto che si tratti (o meno) di un sito professionale. E adesso? Bella domanda.

Ci hanno ripetuto migliaia di volte, durante questi ultimi anni, come la Rete sia inequivocabilmente una piattaforma da esaltare e tutelare in ogni sua sfaccettatura comunicativa proprio perché della comunicazione attuale essa ne rappresenta, oggigiorno, l’artefice moderna e la vera custode. Perché permette a chiunque di pubblicare, giudicare e condividere ogni tipologia di notizia e/o di informazione connessa – oppure no – ad uno specifico fatto di cronaca o d’interesse generale, e via discorrendo. Ovvio che ciascuno di noi debba essere responsabile di quanto scrive o posta all’interno di un blog o di un qualsiasi forum; non credo si voglia far venire meno la “individualità della responsabilità”. Il fatto è che, sotto molti punti di vista, non riesco a comprendere il perché di questa “estensione” della sopracitata responsabilità. Si potrebbe – ed in parte è una riflessione questa legittimata da una buona dose di veridicità – sostenere che i gestori debbano essere sempre consci di non permettere alle proprie piattaforme di divulgare contenuti pericolosi e/o perniciosi; contenuti che potrebbero (anche) fare in modo che quella piattaforma stessa finisca col tramutarsi nel tempo in una specie di luogo virtuale dedito a funeste forme di proselitismo e di violenza culturale. Il problema, però, è che si rischia (anche) di pregiudicare una dinamica di non poco conto.

Il gestore di un sito deve acconsentire a chiunque di poter liberamente esprimere una sua personale opinione. Altrimenti tanto vale che si dedichi alla stesura di un libro o all’utilizzo “restrittivo” dei vari filtri che già la Rete mette a sua disposizione. Nel caso, per l’appunto, in cui non voglia ricercare reciprocità comunicativa o mera condivisione informativa. Lui stesso dovrebbe poter godere di un etica tale da fargli comprendere se quel determinato commento meriti o meno di venire pubblicato. Svolgendo già in questo caso un “pericoloso” compito di selezione e di giudizio, del tutto discrezionale. Se il fondamento di questa stessa dinamica venisse ora definita, a priori, da precise norme giuridiche, ovvio che tutti gli atteggiamenti ne risulterebbero poi essere pesantemente indirizzati e/o influenzati.

Non si tratta di dovere esaltare o legittimare  “l’anarchia comunicativa” – e, magari, anche “linguistica” – della Rete e di consentire a chiunque di scrivere qualsiasi cosa gli passi per la testa. Si tratta solo di dover comprendere come un cambiamento di questo tipo implichi degli stravolgimenti di non poco conto. Attendo di capire quali saranno le procedure oggettive che permetteranno al gestore di un sito di comprendere dove termini la genuinità di un’opinione personale espressa e dove inizi il vero e proprio reato penale. Con la eventuale – ed accessoria – spiegazione giuridica dell’aggravante in «concorso per diffamazione», in tal caso. Il Web ha un disperato bisogno di regolamentazione. Lo vado sostenendo da anni. Ma la regolamentazione necessita di una analitica ed oggettiva chiarezza giuridica. Ed etica, aggiungerei.

Vi lascio un articolo di giornale e vi allego le immagini ufficiali della sentenza emanata dalla Corte Di Cassazione.

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