Siamo al penultimo posto in Europa per quanto concerne i parametri inerenti la cosiddetta “equità generazionale”. Peggio del “Bel Paese”, solo la Grecia. Ancora una volta, grandissime soddisfazioni per noi tutti. E, soprattutto, ancora una volta – la ripetizione è voluta -, gioiamo per l’ennesima “scoperta dell’acqua calda”! Diviene del tutto paradossale – o, per essere più chiari e precisi, ciò che già era parso in passato “paradossale”, diviene oggi del tutto “allucinante” – rimembrare i gloriosi epiteti con i quali gli illuminati politici nostrani avevano pensato bene di etichettare gli youngs: «sfigati», «choosy», «bamboccioni» et similia. Per non dimenticare poi, alcune perle rese tali per mezzo di ben più lunghe ed articolate perifrasi verbali. Del tipo, ad esempio: “Il posto fisso? È monotono!”. E via discorrendo così, con altrettante simili esternazioni, ricolme di umana saggezza e sagacia (istituzionale).
Stando a quanto riportato dallo studio sociologico della Fondazione Visentini, «Se un giovane di vent’anni nel 2004 ha impiegato 10 anni per raggiungere l’indipendenza economica, nel 2020 ne impiegherà 18 (arrivando quindi a 38 anni) e nel 2030 addirittura 28. Diventerebbe, in sostanza, grande a cinquant’anni.»
Precariato, stipendi bassi, affitti da capogiro, impossibilità di formare una propria famiglia, ecc., continuano a rimanere tematiche completamente estranee alle varie agende politiche. Inutile stare a raccontarcela. L’alternativa parrebbe essere il solo – e tanto agognato (???) – reddito di cittadinanza. Senza contare però che sia il paternalismo che l’assistenzialismo statale dovrebbero vertere, solo e soltanto, sull’opportunità di lavoro strincto sensu, e non sul “mantenimento” de facto. Ovvio che poi il tutto crolli come una castello di sabbia; infatti, come si potrebbe mai legittimare una tale premessa all’interno di una Nazione che da poco ha raggiunto il “meraviglioso” livello del 40% di disoccupazione giovanile?
Una equa distribuzione delle risorse? Magari fondata e giustificata su rette e giuste politiche sociali? Il ripristino del giusto concetto di meritocrazia, con la possibilità (concreta), concessa e riconosciuta a tutti, di poter partire nello stesso momento e alle pari condizioni? Tutti discorsi qualunquisti, molto probabilmente. O, ad ogni modo, bollati ed etichettati sempre con questo epiteto. Buona vita.
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