Tantalo, all’interno della mitologia greca, incarna la superbia, l’arroganza e lo smisurato orgoglio che può inquinare la mente dell’uomo ambizioso e desideroso di potere. Una vanità senza fine. Una bramosia accecante, tale da permettere alla finita e limitata mente di un essere effimero di ritenere possibile ingannare e prendersi gioco degli Dei.
Prediletto di Zeus, abile regnante e scaltro combattente, ma con la mente e l’animo profondamente inquinati dalla triste consapevolezza della fugace e finita vita concessagli – in quanto semplice e comune mortale -, Tantalo giunge ad approfittarsi della benevolenza degli Altissimi e della loro compagnia, nutrendo, al contempo, dentro di sé, la stolta presunzione di potersi ergere al di sopra di ciascuno di loro e della loro infinita saggezza ed onniscenza.
La punizione divina, lanciatagli contro dal Padre Celeste, è una delle più atroci di tutta la mitologia classica. Raccapricciante come il peccato stesso di cui il tantalide osa macchiarsi nella malata convinzione di potersi prendere gioco degli Olimpici: Tantalo, infatti, arriva persino ad uccidere nel sonno il proprio figlio, Pelope, per poi cucinarlo e servirlo, sotto forma di portata principale, al banchetto allestito in onore dei propri ospiti ultraterreni. A seguito di un simile crimine, Tantalo verrà costretto per l’eternità a patire la fame e la sete. Immerso con tutto il corpo in un lago, le cui acque si ritirano fino a scomparire, ogni qualvolta tenti disperatamente di bagnarsi le secche labbra. Il volto perennemente rivolto verso un florido albero da frutto, i cui succosi doni si allontanano dalle sue braccia, trascinati via da un vento celestiale e di divina provenienza.
L’unica compagnia concessagli è una morte che è sì inevitabile ma che mai giunge. Allegoricamente rappresentata da un enorme macigno, posto sopra ad un alto dirupo, che alla sua stanca vista pare sempre sul punto di cadere e di schiacciarlo da un momento all’altro. Ma ciò non avviene mai, e al tantalide resta così solo il mero desiderio di una morte in grado di rivelarsi capace di liberarlo dalla sua atroce afflizione. Un desiderio che altro non è che una pia illusione e mera speranza.
Il mito del supplizio e del patema di Tantalo assume le forme e le vesti di un vero e proprio ammonimento celeste. Difatti, la punizione, che Zeus impartisce al tantalide, diviene una vera e propria maledizione. Una maledizione che riguarderà la vita non soltanto di suo figlio rinato, Pelope – fondatore dell’isola del Peloponneso -, ma anche dei figli dei suoi figli. Affinché l’uomo comprenda come vi siano dei limiti imposti dal Cielo alla finitezza che segue dal suo essere una creatura mortale. Affinché l’uomo comprenda come oltrepassare suddetti limiti sia un qualcosa che mai possa appartenere alla sua natura finita ed effimera.
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