Articolo correlato: ARISTOTELE: TRA PERCEZIONE ED IMMAGINAZIONE.
Il passaggio dal primo livello di conoscenza – aìsthesis – al secondo – legòmena – si rispecchia nella transizione da enunciati dichiarativi/descrittivi del tipo Socrate è bianco ad enunciati diversi e del tipo Socrate è buono. In questo caso, infatti, secondo Aristotele, diviene fondamentale affidarsi a quell’insieme di “cose dette”, di tradizioni e di opinioni autorevoli che formano e danno fondamento al pubblico èthos (“norma di vita”). Ma il modo di porsi e di rapportarsi nei riguardi di un simile bagaglio conoscitivo è profondamente diverso in Aristotele, rispetto a Socrate e Platone.
Non si tratta di dover sovvertire le credenze diffuse ed accettate fino a quel momento quanto, piuttosto, di criticarle e rileggerle per il fine di renderle conformi e congeniali agli intenti epistemologici, sempre via via più moderni. Nella mente di Aristotele, infatti, è profondamente radicata l’idea che nel rapporto centenario tra la manifestazione fenomenica del Mondo – dove all’immanenza della Natura fa da eco la passività dei sensi umani – e la propensione – naturale – alla conoscenza e all’acculturazione dell’uomo si sia, inevitabilmente, venuto ad affermare un patrimonio di valori e verità al quale attingere e verso il quale promuovere forme sempre nuove di letture e rivisitazioni. Questa “storia della verità dell’uomo” non si esaurisce nell’ambito della sola filosofia etica e politica. Non si tratta solo e soltanto di mera conoscenza pratica; la riflessione concernente la divinità degli astri è particolarmente esaustiva, sotto questo punto di vista:
Gli uomini originari e antichissimi hanno colto queste cose nella forma del mito, e in questa forma le hanno trasmesse ai posteri, dicendo che questi corpi celesti sono divinità, e che la divinità circonda tutta quanta la natura. Il resto è stato aggiunto dopo. […] Ma se si separassero queste aggiunte, e si scegliesse soltanto il contenuto originario di quelle credenze, che ritenevano che le sostanze prime fossero divinità, si dovrebbe pensare che hanno parlato in modo divino.
Aristotele introduce, quindi, a livello epistemologico due concetti di profonda importanza: gli èndoxa – “credenze” – e la dialettica. Aristotele sostiene come per discutere i principi delle scienze sia assolutamente necessario affidarsi agli èndoxa, ovvero a quell’insieme di opinioni e credenze condivise, e non alle scienze stesse, in quanto costituite da concetti e paradigmi considerati essere – per ovvie ragioni – assiomatici ed apodittici. Di conseguenza, per discernere gli èndoxa è necessario affidarsi ad una chiave di lettura e d’interpretazione non propriamente scientifica. Ecco il ruolo fondamentale che viene assegnato alla sopracitata dialettica. Tale necessarietà può tuttavia originare un pericoloso dualismo all’interno della trattazione aristotelica:
- sfruttare la dialettica e gli enunciati logici/verbali, della quale la stessa si costituisce, per argomentazioni scientifiche, senza avvalersi delle informazioni percettive sulla realtà – aìsthesis -, può veicolare lo studioso alla formulazione di discorsi vuoti e ricolmi di aporie;
- d’altro canto è impossibile che le scienze delegittimino i fondamenti concettuali sui quali esse stesse poggiano e traggono giustificazione e legittimazione; è, inevitabile, il ricorso a punti di vista “alternativi”, forniti dalle credenze condivise, che possano permettere la disquisizione su ciò verso cui le scienze suddette sono chiamate a tacere.
Aristotele riconosce alle opinioni e alla credenze un importante ruolo conoscitivo in ambito epistemologico – scostandosi ulteriormente da Platone, secondo il quale esse altro non sono che l’opposto delle scienze e delle verità -, pur affermando come restino però prive di quella certezza e stabilità dimostrativa, tipica del sapere scientifico. La legòmena si fonda, dunque, su un dualismo epistemologico:
- enunciati del tipo Socrate è buono si basano sul sistema di valori morali, sedimentato e consolidato nell’èthos pubblico (“Socrate è buono perché tutti lo ritengono buono”);
- enunciati del tipo gli astri sono divini si basano sulle opinioni e credenze più autorevoli che, nel corso del tempo, hanno finito con il consolidarsi del tutto (“gli astri sono divini perché Caio, Tizio e Sempronio ci hanno lasciato importanti osservazioni al riguardo”).
Per concludere questo primo approccio alla conoscenza, prendiamo per un attimo in considerazione anche le profonde riflessioni aristoteliche rivolte tanto all’uso quanto al significato linguistico del verbo “essere”. Aristotele critica l’uso “primitivo” del verbo essere, cioè il suo venire esclusivamente inteso come “esistere”. Secondo il filosofo, infatti, il verbo “essere”, oltre alla sua funzione esistenziale, può assolvere quella di copula, ovvero può, a seconda dei casi e dei contesti, esprimere qualità, quantità ed altre funzioni predicative, oltre ad essere fondamentale tanto negli enunciati dichiarativi quanto in quelli assertivi. Risulta necessario cogliere e comprendere questa distinzione categoriale dei diversi valori assunti dal predicato in questione, a seconda dell’uso fatto del linguaggio medesimo.
Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.