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Prima di trattare “il movimento cosmologico” plotiniano, che dall’Uno tende al corpo e da quest’ultimo risale all’Uno, è necessario affrontare un altro grande tema all’interno delle Enneadi. Ovvero la concezione e definizione del Bello. Anche perché gli “influssi” sia platonici che aristotelici appaiono essere, per davvero, particolarmente evidenti in seno alla posizione assunta da Plotino.
Il filosofo sostiene come una pietra che è stata scolpita e tramuta in statua sia innegabilmente più bella di una pietra grezza. E questo proprio a causa del fatto che la materia costituente la prima sia andata dandosi infine una ben precisa forma. Plotino, infatti, sostiene come la bellezza sia la capacità – e possibilità – della materia di risplendere nella sua forma. Quindi, girando il punto di vista, qualsivoglia particolarità sensibile che non possiede alcuna tipologia di forma deve, per forza di cose, venire classificata come “brutta”. Si tratta di un ragionamento che affonda le proprie radici tanto nell’aristotelismo quanto nel platonismo.
Il fatto che la forma assunta diventi la condizione fondamentale affinché l’oggettualità possa definirsi bella, è un qualcosa che richiama sicuramente la logica del telos di Aristotele. Nell’estetica aristotelica, infatti, un sensibile è bello quando la materia (hyle) che lo costituisce va assumendo quella forma (eidos) “funzionale alla esecuzione della funzione stessa predisposta dalla Natura e che, dunque, il medesimo dovrà poi svolgere”. Si tratta del rapporto “potenza/atto” e della visione seminale della Natura di Aristotele. Ad ogni modo, però, Plotino prende le distanze – come abbiamo già più volte notato – dall’immanentismo aristotelico, volgendo lo sguardo verso il piano trascendente – di chiaro rimando platonico -.
Il Bello, infatti, è una forma ideale, che pre-esiste alla bellezza sensibile e che si trova all’interno del piano di Intellezione – il Nous -. La differenza rispetto a Platone – e che è necessario ribadire e sottolineare nuovamente – verte sul fatto che l’anima dell’uomo si trova sempre all’interno del Nous e che la percezione della bellezza sensibile avviene perché la suddetta percepisce un qualcosa che “le è affine”. Mentre in Platone, quindi, l’anima rammenta ciò che era in un altro Mondo e tende a risalire verso quel piano eidetico, in Plotino l’anima “semplicemente” si ridesta dalla contemplazione del mero corpo e si abbandona alle forme ideali che la circondano. Sia chiaro che il rapporto idea/sensibile resti, comunque, pressappoco lo stesso: la forma ideale è causa efficiente della particolarità sensibile corrispondente e la percezione dell’oggettualità veicola il percipiente a risalire alla idea. Sia Platone che Plotino, infatti, parlano chiaramente di alienazione e allontanamento dal piano sensibile. Ciò che resta differente è il “movimento cosmologico” trattato e la collocazione dell’anima dell’uomo:
Nell’arte risiedeva dunque una simile bellezza, ben più pregevole. Non fu infatti la bellezza che è propria dell’arte a discendere nella pietra, ma essa resta lassù, mentre un’altra inferiore, ne deriva; e quest’ultima né ha conservato la sua purezza nella pietra, né vi è restata come desiderava, ma solo nella misura in cui la pietra ha ceduto all’arte. Se poi l’arte crea in modo conforme a ciò che è e possiede […], essa stessa è bella in un senso più alto e vero, poiché possiede la bellezza che è propria dell’arte e che è certamente più grande e bella di quella che si trova nelle cose esteriori, giacché quanto più si estende andando verso la materia, tanto più (la bellezza) perde vigore rispetto alla condizione dell’unità originaria.
Il passaggio «essa stessa è bella in un senso più alto e vero, poiché possiede la bellezza che è propria dell’arte e che è certamente più grande e bella di quella che si trova nelle cose esteriori» può essere letto nuovamente in una chiave di interpretazione “abbastanza” platonica. Del resto, nonostante la posizione di Platone nei riguardi dell’arte lato sensu, si mostri “particolare” e non esente da profonde riflessioni, vi è comunque l’accettazione da parte del filosofo di considerare la bellezza sensibile sotto forma di proporzione. In questo caso Plotino, più che di “proporzione”, tende a ribadire come l’arte – ovvero il processo tramite il quale la materia di un oggetto va assumendo una forma – sia “funzionale” al fine della creazione e, quindi, della consequenziale percezione del Bello sensibile.
In sintesi:
- una oggettualità priva di forma è brutta;
- la “bellezza artistica” – ovvero «la bellezza propria dell’arte» -, dando forma al sensibile, rende il medesimo bello;
- “la bellezza artistica”, pur elevando al grado di “bello” la particolarità sensibile, rimane sempre e comunque inferiore alla bellezza ideale presente nel Nous.
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