TRA PLATONE ED ARISTOTELE: LA FILOSOFIA DI PLOTINO.


Plotino, attraverso le pagine delle Enneadi (III-IV sec. a.C.), sviluppa un pensiero filosofico semplicemente stravolgente. E questo grazie al profondo idealismo ed umanismo cui lo stesso va costituendosi. È indubbia, a tal riguardo, l’importanza ricoperta dai contributi platonici ed aristotelici a cui lo stesso filosofo si rivolge, per sviluppare ed argomentare le sue stesse riflessioni. Da una parte, infatti, abbiamo il recupero  da Platone delle forme ideali, del ruolo dell’anima e della riflessione circa il Bene. Dall’altra parte, una buona fetta della cosmologia del filosofo trae forza da alcune argomentazioni di Aristotele – in special modo per quanto concerne il Nous -. Ma il pensiero di Plotino va oltre le posizioni assunte dai due monoliti dell’antichità e finisce con il dare vita ad un sistema filosofico in cui l’integrazione dell’interpretazione delle riflessioni platoniche ed aristoteliche gioca un ruolo di assoluta importanza.

Anche il solo affermare di “voler procedere in modo lineare”, nei riguardi dello studio e in riferimento alla comprensione del suo pensiero, può, in effetti, apparire errato. Questo perché la filosofia di Plotino, come avremo modo di constatare, va caratterizzandosi di una duplice e profonda chiave di lettura. Un doppio percorso, nel quale i due sentieri si muovono in parallelo. Da un lato, il tutto discende dall’Uno. Dall’altro lato, il particolare risale sino al cospetto di Dio – o, più generalmente, della Divinità –. Ed in mezzo a tutto questo, è impossibile non cogliere l’avvolgente e profondo calore diffuso da tutte quelle riflessioni che il filosofo sviluppa attorno al concetto di “anima”, di “intellegibile”, di “corpo”, di “bello” e via discorrendo. Si rende necessario predisporre «la fuga dell’anima fuori del mondo sensibile» se, per davvero, si desidera giungere alla più assoluta delle perfezioni. Vediamo allora di capire come tutto ciò sia possibile. Iniziamo dal cercare di comprendere come Plotino si pone nei riguardi delle forme ideali tramandate da Platone.

La “reinterpretazione” da parte di Plotino della filosofia platonica implica, per forza di cose, una “rilettura” dello stato ontologico delle forme ideali – le idee -. Tra tutte le idee che formano il Nous, quella di “Bello” e di “Bene” – identificato con l’Uno – ricoprono un ruolo di assoluta importanza, all’interno del suo pensiero filosofico. Torneremo più avanti a parlare dell’Uno, esattamente come faremo in riferimento alla concezione di “bellezza”, ma, fin da subito, l’idea di Bello ci permette di evidenziare la diversa considerazione ontologica che Plotino ascrive alle particolarità eidetiche.

Plotino, infatti, a differenza di Platone, non ha interesse a marcare con forza la distinzione e separazione tra il Mondo noetico – Iperuranio – ed il Mondo sensibile quanto, piuttosto, a comprendere come l’anima dell’uomo si rapporti al Nous, che è il piano composto da tutte le forme sovrasensibili – gli intellegibili, quindi, si trovano sempre all’interno di questo Intelletto/Intelligenza! -. Quando l’anima contempla “un qualcosa di bello” ne resta talmente ammagliata da rimembrare la sua stessa natura. L’anima, infatti, segue dal Nous che, a sua volta, segue dall’Uno. Nell’unione al corpo, perde parte della propria essenza, ma attraverso la percezione delle forme – diffuse nelle materia dal Nous per volontà dell’Uno – è in grado di rammentare la sua vera natura e di procedere a ritroso, ovvero di allontanarsi dalla mera materia per risalire sino al piano dell’Intelligenza – e, magari, addirittura oltre, ricongiungendosi così alla Divinità -. Scoprendo nella realtà sensibile “ciò che le è affine”, l’anima riscopre sé stessa. Questo comporta due conseguenze filosofiche davvero profonde:

  • in primis, l’anima non rammenta le idee, in quanto è sempre e perennemente ancorata al piano intellegibile – Nous -. Non si tratta, dunque, della reminiscenza platonica – vista, ad esempio, tra le pagine del Fedone o del Timeo – che permette all’anima di rimembrare “ciò che è in un altro Mondo”; l’anima rammenta sé stessa e il Mondo a cui sempre appartiene. Da tale rinnovata consapevolezza, sostiene Plotino, sorge poi il desiderio della stessa di contemplare gli intellegibili, di liberarsi del corpo e di risalire fino all’Uno;
  • in secundis, la sopracitata bellezza (sensibile) non è tale perché partecipa alla forma ideale corrispondente – l’idea del “Bello in sé e per sé” -, come in Platone, quanto piuttosto perché “riflette” una forma intellegibile di bellezza, infusa nella materia dal Nous per volontà dell’Uno – questa differenza è di notevole importanza e deve assolutamente essere compresa! -.

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