Il movimento sofista rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale, considerando la concezione della realtà sensibile di cui si fa portavoce. Quest’ultima, infatti, viene vista come priva di qualsiasi particolarità che possa essere oggetto di una comprensione assoluta. Gorgia, ad esempio, sostiene come non solo non esista alcunché che possa essere assolutamente “conosciuto”, ma, qualora esistesse, non potrebbe essere né compreso né divulgato. Si tratta, quindi, di dover ripiegare, in ambito gnoseologico e cognitivo, su di un profondo e marcato relativismo. Il percipiente viene chiamato a prendere in considerazione (solo) il proprio punto di vista, rivolto nei confronti della specifica porzione di realtà che gli si apre dinanzi. L’affermazione di Protagora, secondo cui “l’uomo è la misura di tutte le cose”, spiega benissimo ed in maniera esaustiva l’individualità e la relatività della percezione e della conoscenza, all’interno del movimento sofista. Se niente può essere oggetto di una conoscenza, comprensione e divulgazione assoluta, allora, sostengono i sofisti, compito del filosofo è quello di “valorizzare” il proprio punto di vista nei confronti della porzione di realtà presa ad esame. Il linguaggio, quindi, appare essere lo “strumento” tecnico più congeniale per plasmare la suddetta, per farla propria, per attingere da essa conoscenza – una conoscenza relativa che, in quanto giustificata e legittimata dalla percezione soggettiva ed individuale del percipiente, deve venire difesa da confutazioni e critiche -. Il divenire abili oratori o il mostrarsi individui scaltri nel saper difendere le proprie posizioni e nel respingere le tesi altrui o, ancora, l’essere persone capaci di persuadere il prossimo, sono delle vere e proprie necessità intellettive per i sofisti – non a caso, infatti, l’intero movimento si afferma nelle vesti di “fenomeno” prettamente urbano, in quanto è nella polis che si sviluppano le discussioni, le diatribe, gli screzi, gli scontri giuridici et similia -.
Il relativismo dei sofisti deve, dunque, essere inteso tanto nel suo significato prettamente intellettivo/conoscitivo quanto in riferimento alla capacità percettiva del singolo. Se volessimo, ad esempio, riflettere attorno ad uno dei grandi temi dell’antichità, il Bello, noteremmo come la posizione assunta dai sofisti converga su quanto appena sostenuto. Protagora, infatti, afferma come sia impossibile definire in termini assoluti la bellezza e, quindi, poter sostenere come un determinato sensibile sia (assolutamente) bello. La percezione è individuale e non solo nel significato che quanto appare bello ad un individuo può sembrare brutto ad un altro, ma anche nel senso che quanto aggrada, ora e adesso, un soggetto può non destare più nel medesimo la stessa sensazione in un dato momento futuro. Tale consapevolezza veicola i sofisti a sostenere come l’Arte lato sensu debba essere colta e valorizzata, solo e soltanto, in riferimento all’impatto estetico che la stessa esercita nel percipiente. Tutto questo comporta delle conseguenze particolarmente chiare e marcate.
Innanzitutto, come appena detto, è l’effetto prodotto e non la realizzazione in sé a godere di piena attenzione in ambito artistico. Inoltre, il giudizio da rivolgere all’opera artistica non deve essere determinato dal tipo di sensazione trasmessa dalla stessa. Ciò che conta, infatti, è proprio la capacità della realizzazione artistica di creare, in primis, e di diffondere, in secundis, tali sentimenti. Ad esempio, in riferimento proprio alla poesia, Gorgia esalta la straordinaria capacità dell’artista di riuscire a creare illusioni, sogni e sensazioni di vario genere ed intensità nell’animo e nel cuore del fruitore. Questo ci permette di comprendere, come, oltre alla doverosa importanza da ascrivere all’effetto – segno indistinguibile della capacità, posseduta dall’individuo, di manipolare la realtà per propri fini ed intenti -, sia presente, nel modo di porsi dei sofisti nei riguardi dell’Arte, anche una chiara esaltazione dell’artista, colto nel suo ruolo di artefice e creatore. Il poeta, quindi, non assume la fisionomia del medium classico, ovvero del soggetto che riesce ad esprimersi solo grazie ad una inspirazione divina. Proprio come l’Arte di per sé non è “imitazione” di alcunché. E, rimanendo sempre ancorati all’arte poetica, non è un caso che gran parte dell’attenzione venga rivolta dai sofisti proprio allo studio del linguaggio e delle sue componenti più marcatamente espressive. Si tratta, quindi, di evidenziare l’importanza ricoperta, per la realizzazione dell’opera stessa, anche dall’abilità, dalla conoscenza e dalla sapienza tecnica dell’uomo. Anche in questo caso, la “reinterpretazione” avanzata da Protagora circa il mito di Prometeo è alquanto esaustiva: il furto a danno degli Dei non si è limitato solo al fuoco ma, bensì, ha coinvolto anche il sapere (tecnico e “professionale”).
In breve, quindi, ciò che diviene meritevole di esaltazione e considerazione in seno alle opere artistiche, stando alla posizione assunta dai sofisti, è la loro stessa capacità di imprimere e diffondere sensazioni. La profondità dell’impatto estetico ed edonistico che sono in grado di suscitare nel percipiente. Riconoscendo sempre importante il ruolo di artefice e di creatore, ascritto all’artista. Una poesia, dunque, esattamente come, ad esempio, una scultura, diviene la chiara manifestazione dell’impossibilità di risalire ad una concezione assoluta dell’essere: ciò che ha importanza è la percezione individuale e ciò che dall’opera viene relativamente esperito e percepito, oltre al fatto che la realizzazione stessa rispecchi la capacità dell’artista di plasmare la realtà sensibile, giustificata da uno specifico e definito punto di vista.
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