Due sono le grandi guerre epiche narrate nella mitologia greca. La prima prende vita a Troia. La seconda, invece, si sviluppa alle porte di Tebe. Quest’ultima si articola in due vere e proprie campagne militari: la “Guerra dei Sette” e la “Vendetta degli Epigoni”. Il nome “epigoni” significa “discendenti” o, più comunemente, “coloro che sono nati dopo”. Il termine è propriamente azzeccato, del resto. Gli epigoni, difatti, sono i discendenti di coloro che presero parte alla prima guerra contro Tebe. Ove i loro padri hanno trovato la morte, gli epigoni riescono a dare libero sfogo ai propri istinti più brutali e a soddisfare, in tal modo, la propria sete di sangue ed il proprio desiderio di vendetta. Sono le insegne di Messene, Arcadia, Corinto, Megara ed Argo a marciare contro le porte dell’antica città fondata da Cadmo, in quello che si palesa alla vista come un vero e proprio avanzare ricolmo di collera ed astio.
Figura centrale dell’intera campagna, nonché dell’intero mito, è Alcmeone. L’argivo, infatti, è paragonabile ad un’altra figura drammatica che si eleva tra eroismo e drammaticità: Oreste, principe di Micene e figlio della Regina Clitennestra. Per onorare la promessa fatta al padre Anfiarao, Alcmeone, di ritorno dalla conquista della città, assassina la propria madre, Erifile, responsabile della morte del proprio congiunto. La vicinanza tra Oreste ed Alcmeone è particolarmente forte… proprio come forte è la gravità del reato di cui entrambi i principi si macchiano – il matricidio – e la nefasta conseguenza che da esso segue. Come avviene per il principe di Micene, anche l’argivo, infatti, è obbligato ad abbandonare la sua città natale e a dirigersi verso l’Oracolo di Apollo, nella speranza di vedere salvata la propria vita dalla minacciosa presenza delle Furie. Ma il fato di Alcmeone è profondamente tragico: accusato di aver tradito l’amore di Arsinoe, figlia del Re della Psofide, con la bella Calliroe, il principe di Argo viene ferito a morte dagli stessi fratelli della sua promessa sposa e lasciato privo di vita sulle rive di un fiume.
Se il destino di Alcmeone avvicina la tragedia di Argo a quella di Micene, altrettanto viene reso dalla figura della Regina Erifile. Una donna, infatti, particolarmente “simile” e “prossima” a Clitennestra. Erifile, esattamente come la moglie di Agamennone, è causa della morte del proprio marito. Appoggia, infatti, volutamente la Guerra dei Sette… quella stessa guerra nella quale Anfiarao perde la vita. Se nella prima campagna militare la vigliaccheria della donna è simbolicamente rappresentata dalla collana di Armonia – manufatto creato da Efesto e donato alla regina da Polinice -, nel secondo conflitto contro Tebe è il peplo di Minerva ad assumere una tale funzione narrativa. Tersandro, infatti, manipola e corrompe Erifile, facendo leva sull’ego e sulla vanità della vecchia donna, obbligandola ad accettare un bieco compromesso: in cambio delle divine vesti che rendono il corpo di chi le indossa sempre bello ai propri occhi e alla propria vista, la regina deve convincere suo figlio Alcmeone a guidare la spedizione contro Tebe.
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