STRATEGIE EGUALITARIE.


Malgrado oggi si abbia l’impressione che la diseguaglianza sia imperitura e universale, osservando il fenomeno nell’arco della preistoria e della storia dell’uomo ci accorgiamo che la vera eccezione sono proprio le società moderne, con il loro alto grado di diseguaglianza. Per oltre il 90 per cento della nostra esistenza di esseri umani, abbiamo vissuto quasi esclusivamente in società fortemente egualitarie. Per circa due milioni di anni, cioè per quasi tutto il tempo da quando sono diventati “anatomicamente moderni” (ovvero simili a oggi), gli esseri umani hanno vissuto in comunità di cacciatori e raccoglitori straordinariamente egualitarie. La moderna diseguaglianza è nata e si è diffusa con lo sviluppo dell’agricoltura. Le caratteristiche che sarebbero state selezionate in quanto propizie nelle società tendenzialmente egualitarie sono probabilmente molto diverse da quelle selezionate nelle gerarchie di dominio.

Gli studi sulle moderne e recenti comunità di cacciatori e contadini suggeriscono che, lungi dal rispecchiare un’eruzione evolutiva di altruismo, queste collettività abbiano attivamente promosso l’uguaglianza non soltanto attraverso la condivisione del cibo e lo scambio di doni, ma anche tramite le cosiddette “strategie di controdominio”. La condivisione avveniva tramite la cosiddetta “compartecipazione vigilante”, così chiamata perché tutti i membri della collettività controllavano che ognuno ricevesse la parte che gli spettava. Le strategie di controdominio con cui si manteneva l’uguaglianza portavano i membri della comunità a coalizzarsi contro chiunque si comportasse in modo tale da minacciare il senso di parità e di autonomia di ciascuno. […] Gli studiosi che hanno osservato le comunità di cacciatori e contadini moderne e recenti suggeriscono che le strategie di controdominio possono variare dalla burla e dal ridicolo all’ostracismo e alla violenza, rivolti contro chiunque cerchi di dominare gli altri. Queste società dimostrano una cosa molto importante, e cioè che è possibile arginare il desiderio egoistico individuale di maggiore ricchezza e prestigio, oppure incanalarlo in forme di espressione meno dannose per la società.

Alcune nostre caratteristiche psicologiche sarebbero state selezionate nel corso dell’evoluzione per consentirci di sopravvivere in una società egualitaria; tra queste, una forte concezione e un grande apprezzamento della giustizia, che ci permettono di giungere senza conflitti a un accordo per condividere le risorse scarse. […].

Un’altra caratteristica rilevante è la tendenza a provare un sentimento comune di identità e interdipendenza con le persone con cui condividiamo cibo e altre risorse su basi paritarie. Queste persone, con cui ci identifichiamo e simpatizziamo, rappresentano il nostro gruppo di appartenenza, il “noi”. In molte istituzioni sociali e organizzazioni politiche la condivisione è un mezzo per creare un sentimento di fratellanza o di sorellanza; inoltre, il concetto stesso di famiglia “nucleare” o “allargata”, su cui è basata l’organizzazione sociale, dipende dalle dimensioni del gruppo di condivisione, ovvero dal grado di parentela che lega coloro che possono rivendicare il diritto di accedere alle risorse del nucleo familiare. […].

Un collante essenziale della stretta integrazione sociale tipica delle comunità egualitarie è il sentimento di gratificazione che si prova nel soddisfare i bisogni altrui. Questa, che pare spesso una qualità misteriosa e inspiegabile, proviene in realtà dalla necessità di sentirsi apprezzati dagli altri. L’essere umano si sente stimato quando fa qualcosa che gli altri gradiscono. Il modo migliore per assicurarsi di essere inclusi nel gruppo solidale di cacciatori e contadini, scongiurando il rischio di essere esclusi, ostracizzati e diventare prede, era compiere azioni apprezzate dagli altri. […].

Vi sono quindi diverse strategie sociali per affrontare differenti tipi di organizzazione sociale. A un estremo ci sono le gerarchie di dominio, basate sull’arrivismo e sulla competizione per lo status. Qui l’individuo deve riuscire a badare a se stesso, e l’altro è considerato soprattutto un rivale nell’accesso al cibo e alle occasioni di accoppiamento. All’estremo opposto troviamo i sistemi basati sull’interdipendenza reciproca e la cooperazione, nei quali la sicurezza dell’individuo dipende dalla qualità delle relazioni con gli altri, e l’autostima si nutre più del contributo dato al benessere altrui che dello status. Le strategie di affiliazione, quindi, dipendono non tanto dal perseguimento dei propri interessi materiali, quanto dalla mutualità, dalla reciprocità, dalla capacità di identificarsi con gli altri e di stringere forti legami emotivi.

Richard Wilkinson & Kate Pickett, The Spirit Level: Why Equality is Better for Everyone (2009).

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