«Credi pure che lo stesso accade all’anima. Quando essa si volge a ciò che è illuminato dalla verità e dall’essere, ne comprende pienamente l’essenza e dà l’impressione di essere intelligente. Quando invece si volge a ciò che è avvolto nell’oscurità, a ciò che nasce e perisce, essa nutre solo opinioni, e s’indebolisce stravolgendole sopra e sotto, ed è come stupida.»
«Sì, è così.»
«Di’ pure, dunque, che solo l’idea del bene conferisce la loro verità agli oggetti della conoscenza e a colui che li conosce: essa è dunque causa della scienza e della verità in quanto oggetti di conoscenza. Ma quantunque la scienza e la verità siano belle entrambe, farai bene a pensare che esiste qualcosa di ancora più bello. È giusto ritenere solari la luce e la vista, ma non bisogna identificarle con il sole. Così anche la scienza e la verità si possono correttamente considerare affini al bene, ma non identiche ad esso né l’una né l’altra: alla natura del bene spetta una più alta considerazione.»
«Tu le attribuisci una bellezza straordinaria,» disse «se essa è in grado di procurare scienza e verità, eppure nella sua essenza è ancora più bella; perché non intendi certo parlare del piacere!»
«Non dire sciocchezze!« esclamai. «Ma considera la sua immagine anche in un altro modo.»
«E quale?»
«Tu affermerai, penso, che il sole dà alle cose visibili non solo la capacità di essere viste, ma anche la vita, la crescita e il nutrimento, pur non identificandosi con la vita stessa.»
«Certo!»
«Dunque anche a proposito delle cose intellegibili si può affermare che dal bene esse ricevono non solo il dono di essere conosciute, ma anche l’esistenza e l’essenza, quantunque il bene non s’identifichi con l’essenza, ma per dignità e potenza sia superiore anche a questa.»
Platone, Repubblica (390-360 a.C.).
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