TEOLOGIA NEGATIVA E TEOLOGIA AFFERMATIVA.


Un metodo gnoseologico per risalire alla conoscenza dell’essenza di un qualcosa consiste nel comprendere gli effetti che da esso seguono. Tommaso d’Aquino, ad esempio, va affermando come una particolarità debba essere compresa sulla base della propria forma o mediante le forme di altre particolarità ad essa simili. È possibile conoscere una causa a partire dagli effetti da essa stessa originati?

La “teologia affermativa” sostiene che attraverso le affermazioni sia possibile risalire alla conoscenza di Dio. In pratica, l’esistenza del Creato è già di per sé una prova di come in atto si trovi l’Altissimo e di come l’esistenza dello stesso sia da ritenersi indubbia. Ciò che esiste può essere “sfruttato” per risalire alla conoscenza pura della deità – Duns Scoto parla, ad esempio, di univocità tra “essenza divina” ed “essenza creaturale” -. Il limite però della via affermativa è alquanto chiaro: le affermazioni sono definite e limitate… motivo per cui è riduttivo circoscrivere l’eternità dell’essenza di Dio ad esse. Inoltre, sia da un punto di vista concettuale che ontologico, esiste una incolmabile distanza tra Dio e ciò che da esso segue – a tal proposito è da intendersi la sostituzione alla “univocità” di cui sopra della “analogia” tra essenza divina ed essenza creaturale, teorizzata da Enrico di Gand.

La “teologia negativa” o “apofatica” altro non è che la concezione assolutamente trascendente di Dio. È proprio, infatti, la unicità trascendente di Dio a rendere lo stesso inconoscibile ed ineffabile. In sintesi: Dio è talmente al di là dell’essere e del pensiero da non poter essere compreso. Stiamo cioè evidenziando un vero e proprio limite conoscitivo: da un punto di vista gnoseologico, è impossibile risalire alla deità, ovvero è impossibile comprendere l’essenza di Dio – ciò che Dio è per sua stessa natura -. Preso atto di un tale impedimento, la teologia negativa sostiene come sia, dunque, necessario affermare “cosa non si conosce di Dio” – negando cioè le stesse affermazioni – per poter parlare di Dio. Facciamo un esempio estremamente banale.

Siamo portati molto spesso a ritenere Dio “giusto”. Secondo la teologia negativa, però, questa asserzione è errata. Non per il fatto di dover considerare l’Altissimo “ingiusto”, quanto, più che altro, per il fatto che, essendo impossibilitati a risalire alla conoscenza dell’essenza di Dio, è un errore ridurre la deità del Creatore al nostro concetto di “giusto” e di “giustizia”. Non deve, dunque, sorprendere se molti neoplatonici passano dalle “negazioni” al “silenzio”, inteso come vero e proprio strumento conoscitivo da rivolgere all’Altissimo – cfr. ProcloPlotino -: qualora il cosiddetto “approccio negativo” non fosse sufficiente a “definire” Dio, si deve tacere e ascrivere al silenzio la genuinità dell’atto contemplativo stesso.

Il passaggio successivo resta quello della “eminenza” – cfr. Dionigi Areopagita – Il superamento, infatti, tanto della via affermativa quanto di quella negativa, porta, inevitabilmente, con sé il risveglio di quella che altro non è che una vera e propria consapevolezza filosofico-concettuale: Dio è ineffabile e inconoscibile. Dio è talmente al di là di ogni affermazione e negazione da trovarsi oltre lo stesso principio di non contraddizione. Ma attenzione!

Nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo il significato di teologia affermativa e negativa muta sensibilmente. Nella tradizione pagana le affermazioni sono rivolte all’Intelletto (Nùs) che segue dall’Uno, cui sono indirizzate le negazioni. Nella fede cristiana, invece, Dio e intelletto coincidono – cfr. Meister Eckhart -! Le affermazioni sono rivolte al “Dio che si è rivelato”, mentre le negazioni alla essenza dell’Altissimo – la Santa Trinità –.

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