Articolo correlato: LA “TRIPLICE DISCIPLINA BUDDISTA”: PARTE PRIMA.
Colto l’indistricabile legame tra prajina e dhyana, come risvegliare la propria “auto-natura”, ovvero come riscoprire il nostro vero “io”? Come passare dal relativo che viviamo all’Assoluto? Come arrivare al satori partendo dal mayoi (“smarrimento”)?
Il grande ostacolo è costituito dalla nostra mente o, per essere più precisi, dal fatto che essa – e, di conseguenza il nostro modo di vivere e di concepire il Mondo – risulti ancorata ad una visione troppo logica e razionale. Decodificare tutto ciò che ci circonda sulla base di categorie come finito/infinito, giusto/sbagliato et similia, non aiuta a raggiungere l’Assoluto, ovvero l’essenza vera e genuina di quanto si trova dinanzi a noi. Attenzione! Non si tratta di eliminare tali congetture, così da far sì che quanto di più profondo vi sia, possa (ri)emergere ed illuminarci. È una elevazione. Una contemplazione illuminata. Una consapevolezza nuova e chiara. Il relativo non deve essere messo da parte. Non è in questo modo che l’Assoluto si manifesta per ciò che veramente è. Perché l’Assoluto è sempre lì, sia che ci abbandoniamo a riflessioni egoistiche, personali, definite e via discorrendo, sia che, invece, riusciamo in questo nostro “andare a fondo”.
Il “vedere e cogliere la propria auto-natura”, ovvero il passaggio dal mayoi al satori è improvviso e, di certo, non calcolato. L’Illuminazione è un vero e proprio salto che viene operato a danno del nostro modo di ragionare… un balzo psicologico verso l’inconscio e verso la consapevolezza più profonda. Si parla di “subitaneità”. La saggezza (prajina), quindi, non è il risultato di un ragionamento logico quanto, piuttosto, l’abbandono di un tale modo di pensare e riflettere. Quando il ragionamento viene abbandonato e, psicologicamente, la forza di volontà si annulla, ecco che l’auto-natura si rivela sotto forma di sunyata (“il vuoto di tutte le cose”). Attenzione! Prajina non è una contraddizione. La saggezza sta nell’abbandonare il metodo logico con il quale ci adoperiamo a comprendere il Mondo. Ma non può esservi saggezza senza ragionamento! Prajina, quindi, opera dentro al pensiero e si eleva poi oltre di esso. Non vi è idiosincrasia in questo! La saggezza rende intellegibile la particolarità che il ragionamento logico bolla come falsa e mendace. Ogni cosa, del resto, è disposta nel Mondo secondo le leggi di Natura… ma, mentre il ragionamento logico è discriminante, la saggezza tende al non-discriminante, ovvero al sunyata, ovvero alla bellezza dell’Assoluto. Ma cos’è questa (citata più volte) “auto-natura”?
Essa è la “natura” del Buddha. In ognuno di noi risiede il Buddha. Ma non in un senso panteistico quanto, al contrario, nel significato di “riscoperta” e di “risveglio”… “operazioni” che la nostra mente può realizzare attraverso sila, prajina e dhyana. L’auto-natura è al contempo Essenza (tathata) e Vuoto (sunyata). L’Essenza è l’Assoluto e, quindi, non può essere compresa per mezzo della relatività e/o della forma. La forma (rupa), “condiziona”… l’Assoluto, invece, è incondizionato e, quindi, privo di forma (arupa). In quanto incondizionato e, perciò, privo di forma, l’Assoluto è Vuoto (sunyata) poiché non ascrivibile a nessuna delle sfere esistenti dei nomi. Di conseguenza, sunyata è ineffabile. Irraggiungibile. Perché al di là della comprensione e della percezione. Oltre l’essere ed il non essere. Esso è sempre presente ma, fintanto che desideriamo coglierlo per ascriverlo alla dimensione dualistica con la quale decodifichiamo il Mondo, esso ci elude e svanisce. È prajina che ci permette di “afferrare” un qualcosa di irraggiungibile e di cogliere un qualcosa di incondizionato e privo di forma. Il tutto in modo improvviso. Senza mai discriminarlo in alcun modo.
Esser puri e incontaminati è Sila. La mente immobile che rimane sempre serena in tutte le condizioni è Dhyana. Percepire la mente immota, eppure non formulare alcun pensiero riguardo alla sua immobilità; percepire la mente pura incontaminata, eppure non concepire alcun pensiero riguardo alla sua purezza; distinguere ciò che è cattivo da ciò che è buono, eppure non sentirsene contaminati ed essere assoluti padroni di sé stessi: questo è conosciuto come Prajina. Quando si percepisce così che Sila, Dhyana e Prajina sono tutti al di là di ogni raggiungibilità, ci si rende subito conto che non si può fare discriminazione fra loro e che essi sono un solo ed unico Corpo. Questo è il funzionamento simultaneo della Triplice Disciplina.
Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.