Lo scorso 30 Giugno, il giornale La Repubblica ha pubblicato un’indagine statistica condotta dall’agenzia Demos & Pi, secondo la quale in Italia staremo assistendo, negli ultimi anni, ad un progressivo ed irrefrenabile regresso del ceto medio. Secondo quanto sostiene l’Istituto di ricerca politica e sociale di Ilvo Diamanti, infatti, circa 2 italiani su 3 ritengono che sia oramai del tutto «inutile fare progetti per sé e per la propria famiglia. [.. ..] Perché il futuro è incerto e carico di rischi.» Il sondaggio ha preso vita durante lo scorso Aprile e fonda le proprie osservazioni empiriche ed inferenziali su di un campione di più di 1300 intervistati – 1327, per l’esattezza -. Questo “pessimismo sociale” – con la conseguente ansia ed inquietudine diffusasi nella popolazione – ha fatto sì che, a partire dal 2000 fino ad oggi, questo sia stato il valore più alto mai registrato; superiore persino a quello – che già di per sé fu alquanto preoccupante – rilevato nel biennio 2008/2010. Ebbene in quell’intervallo temporale – “gli anni della crisi” – l’indice di “insicurezza” verso il futuro superò il 55%. Ad oggi, la soglia è ulteriormente aumentata – rispetto solo all’anno scorso di altri ben 7 punti -. A testimoniare, quindi, la presenza incontrovertibile di un malessere e di un disagio sociale profondo ed oramai quasi totalmente radicato nell’antropologia del moderno cittadino italiano. Si tratta di una lettura sociale particolarmente preoccupante che deve obbligare la classe dirigente ad interrogarsi nell’immediato e nel breve periodo.
La sensazione che si registra è quella della percezione di una precisa e pericolosissima patologia sociale all’interno del nostro Paese: si ha oramai la sensazione diffusa di come sia in atto una implacabile “discesa sociale”. Soprattutto delle classi intermedie, impossibilitate non solo a progredire nel proprio status, ma, addirittura, incapaci di mantenere alcuni standard di vita che per tutti questi decenni hanno permesso loro di potersi identificare come ceto medio. Una buona fetta degli italiani, infatti, oggi ritiene di appartenere ad una classe sociale bassa o medio-bassa; si tratta di una considerazione condivisa da quasi il 54% delle persone intervistate da Demos. Il riscontro empirico è evidente: si registrano ben 12 punti in più rispetto al 2011. Parallelamente – a confermare ulteriormente quanto si va sostenendo -, la percentuale di coloro che ad oggi si collocano nel ceto medio si è abbassata drasticamente: risulta essere solo il 39% degli intervistati. Nel 2011 era ben il 50%. Non si era mai registrato un calo così netto (e preoccupante). Nel 2015 questa porzione si attestava intorno al 45% circa: si tratta quindi di un abbassamento di altri 6 punti..
Le ragioni di questa regressione sociale sono molteplici. Ma le variabili sembrano essere influenzate soprattutto da un parametro ben definito: l’occupazione lavorativa. Ad esser maggiormente “colpiti” da questa regressione sociale sono, primi fra tutti – stando ai risultati del sondaggio -, gli operai. Seguono a ruota le casalinghe. In queste due realtà professionali la percezione della “discesa sociale” è sentita in maniera molto più intensa rispetto a quanto assimilata negli altri ambiti lavorativi. E vi è una ragione di fondo per tutto questo: soprattutto per quanto concerne il “mondo operaio”, la quota di suddetti lavoratori, negli ultimi dieci anni, si è letteralmente ingigantita; la percentuale di operai collocati nei settori “più bassi” della nostra organizzazione sociale è molto più ampia rispetto a quella delle altre categorie professionali. Siamo intorno, quasi, al 65%, ovvero oltre 10 punti sopra la media della popolazione. E si tratta della fetta professionale che è maggiormente cresciuta negli ultimi anni, negando così quel processo di «cetomedizzazione» – così definito da Giuseppe De Rita – che aveva ridotto la frattura sociale esistente tra le varie occupazioni lavorative, permettendo ai molti di “addensarsi” al “centro” della società. Basti pensare che soltanto dieci anni fa, 6 italiani su 10 si definivano ceto medio; oggi stiamo assistendo ad una caduta senza freni di quella proporzione. Anno dopo anno. Analizzando i dati empirici registrati dal sondaggio, i riscontri sono dannatamente preoccupanti: fra gli operai, le casalinghe ed i pensionati, la componente sociale di coloro che si sentono colpiti da questa regressione è aumentata, negli ultimi anni, di addirittura 17 punti: dal 48% all’attuale 65%. Quasi 2 operai su 3 si considerano ai margini della stratificazione sociale; coloro che percepiscono sé stessi come ceto medio sono diminuiti di 20 punti. Erano la metà, nel 2011. Oggi sono circa il 30%.
Vi lascio il link dell’articolo de La Repubblica, qualora voleste approfondire l’argomento.
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