LA CULTURA NON PAGA. MA COSTA.


Che stessimo vivendo una fase profondamente difficile e buia nel nostro Paese, ce ne eravamo tutti accorti. E da parecchio tempo, a dire la verità. Dal 2008 in poi, tra crisi economica, politica e sociale, l’esser cittadini italiani – ed il sentirsi, orgogliosamente, come tali – è divenuto sempre più difficile. Il crollo delle identificazioni partitiche e la perdita di rilievo nella vita comunitaria da parte della Chiesa Cattolica – stando agli ultimi risultati dei sondaggi Istat – sono soltanto due delle “fratture” che in ambito sociale sono venute ad affermarsi drasticamente in quest’ultimo decennio (o quasi). Registriamo, difatti, adesso anche una caduta libera delle immatricolazioni universitarie e del numero stesso dei laureati nostrani, onde a testimoniare una crisi profonda in seno alle nostre stesse università. E, considerando l’enorme ed invidiabile bagaglio culturale di cui possiamo vantarci in giro per il Mondo, tutto questo suona – ancora ed ancora – come l’ennesima sconfitta del nostro sistema socio-politico ed istituzionale.

Il giornale La Stampa, qualche tempo addietro, ha svolto un’indagine statistica su scala nazionale, il cui risultato ha portato alla luce una situazione profondamente preoccupante per quanto concerne il nostro apparato universitario. Risulta, infatti, che dal 2008 ad oggi – data che “convenzionalmente” apre la fase della crisi economica mondiale odierna – l’Italia abbia ridotto drasticamente il finanziamento pubblico alle università: una riduzione di circa il 22,5%. Forse questo dato – riportato in tal modo – non ci dice granché. Beh, basti pensare allora che, nello stesso intervallo di tempo, in Germania, ad esempio, suddetto finanziamento è, invece, aumentato del 23%. Le immatricolazioni risultano essere in netta caduta libera: dal 2004 ad oggi si registra una perdita di circa 66.000 matricole – una quota di circa il 20% in meno degli iscritti totali -. Pesa, ovviamente, anche la nostra crescita prossima (quasi) allo zero – il basso tasso di natalità in Italia è oggetto di studio in demografia da anni, oramai -, ma non tutto può essere imputato a ciò, dato che l’ammontare stesso delle matricole diciannovenni è sceso dal 57% al 46%, a prova, quindi, di quella che parrebbe assumere, per davvero, la fisionomia di una vera e propria fuga dagli Atenei. Sapevate che, ad oggi, nel Sud Italia ottiene l’attestato di laurea solo il 20% circa dei giovani universitari – in realtà siamo sotto al 20% di qualche valore centesimale -? Sapevate che in Puglia ed in Sicilia tale percentuale a mala pena raggiunge la soglia del 14%? Trattasi dello stesso livello raggiunto in Paesi come l’Indonesia ed il Sudafrica.

Indagine La Stampa Università

Gianfranco Visti, professore di Economia all’Università di Bari ed autore del libro L’Università in declino, sottolinea come l’aumento delle tasse universitarie, registrato in Italia dal 2008 ad oggi – si tratta dell’aumento più alto di tutta Europa -, sia una delle cause principali del crollo delle immatricolazioni. I dati di Visti descrivono un panorama universitario italiano deprimente e degradante. Siamo, difatti, all’ultimo posto in Europa per numero di laureati: 23,9% di under 34 contro la media UE del 37%. Persino la Romania ci è superiore (25%). L’imbarazzo che viviamo – o che, ad ogni modo, dovremmo vivere – è rafforzato dal fatto che l’Italia ha dovuto pure ridimensionare il traguardo europeo di raggiungimento della soglia del 40% fissato per il prossimo 2020: al contrario, dovremo cercare di perseguire e di “accontentarci” del mero 26%. E, dati alla mano, già questa appare essere un’impresa particolarmente complessa.

Se consideriamo le enormi difficoltà economiche che affliggono oramai il ceto medio all’interno della nostra società, è abbastanza logico supporre come le spese universitarie – a detta anche del sopracitato incremento folle delle tasse di cui sopra – siano divenute un forte deterrente per non agevolare lo studio presso gli Atenei a centinaia di migliaia di ragazzi italiani. Le agevolazioni poi in Italia – sulle politiche sociali siamo perennemente indietro di decenni rispetto a molte altre Nazioni – sono praticamente assenti e, per lo più, mai legittimate da meritocrazia. I borsisti in Italia sono diminuiti del 9%; in Spagna sono, al contrario, aumentati del 55%, in Francia del 36% ed in Germania del 32%. In Italia solo il 12% degli studenti beneficia della borsa di studio; in Francia, ad esempio, questa percentuale si attesta oggi attorno al 25%. Ma l’aspetto preoccupante è che il tasso di abbandono della carriera universitaria dei borsisti è inferiore del 13% rispetto a quello degli studenti non agevolati dalla borsa di studio, a testimonianza di come effettivamente queste politiche sociali servirebbero per abbassare l’interruzione dello studio universitario – altissimo in Italia: siamo intorno al 45% degli studenti complessivi calcolati su base nazionale -.

Le (solite) conclusioni vertono sempre sulla errata direzione e gestione dei fondi. In Italia non solo quest’ultimi vengono tagliati, ma quelli che vengono messi a disposizione sono sia mal distribuiti sia mal posti in essere. Se a questo aggiungiamo la crisi economica e la consapevolezza tra i giovani – una consapevolezza che rischia di ammazzare letteralmente il futuro del nostro Paese – che i tanti sacrifici universitari potrebbero poi non (ri)pagare in ambito di occupazione lavorativa e di gratificazione personale, allora è davvero molto logico il capire il perché di questa sfiducia complessiva rivolta nei riguardi delle istituzioni universitarie nostrane. Ancora una volta, faccio una terribile fatica a cercare di comprendere il perché di tanta incapacità di lettura della realtà sociale da parte delle nostre istituzioni. Risulta loro essere davvero così difficile il metabolizzare un concetto semplice come il seguente (?): è la realtà sociale che legittima l’apparato istituzionale; senza dialettica e reciprocità d’intenti tra questi due livelli, si rischia una impasse senza via di uscita.

Vi lascio l’articolo de La Stampa per approfondire ulteriormente quanto appena trattato.

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