Due dei termini di rimando filosofico – anche da un punto di vista propriamente semantico -, cui oggigiorno si abusa particolarmente, sono quelli di trascendente e trascendentale. Molto spesso, difatti, può capitare di vederli usati alla mera stregua di sinonimi. Ma da un punto di vista concettuale – nonché storico, in riferimento proprio alla nascita etimologica dei due termini ed alla loro evoluzione nella storia degli studi umanistici ed accademici – restano due concetti (abbastanza) distinti. Vediamo di fare un breve sunto per meglio comprendere quanto appena sostenuto.
Partiamo da un presupposto logico e basilare: entrambi questi termini derivano dal verbo transcendere. Nella terminologia filosofica medievale, questo verbo veniva comunemente adoperato nel suo significato originario di “superare”, “oltrepassare”, “salire al di sopra” et similia. Il termine, in pratica, era utilizzato per spiegare – filosoficamente parlando – il superamento di una realtà gnoseologica – dedita cioè alla ricerca della conoscenza de facto di un qualcosa – e/o metafisica rispetto ad un’altra che, per l’appunto, veniva così trascesa, cioè superata e giustificata di conseguenza. Si tratta di un approccio all’analisi fondato su di una ben precisa concatenazione logica, tramite la quale si trascende la realtà attuale per attingere ad una nuova e successiva che sovrasta quella appena trascesa. Il significato di transcendere aveva valore sia su di un campo soggettivo che oggettivo: non solo è la ricerca a trascendere i vari piani della realtà posta ad analisi, ma, bensì, gli stessi piani possono, difatti, ontologicamente transcendere gli uni gli altri – pensiamo a Dio, ad esempio: in numerose correnti di pensiero Dio, in quanto realtà ontologica, trascende il piano della Natura, nel senso cioè che da essa Egli non è limitato. La trascendenza di Dio nei riguardi della Natura è giustificata da un presupposto filosofico: Dio si manifesta solo quando le determinazioni della Natura medesima vengono dissolte -. Vediamo adesso l’evoluzione di significato che hanno assunto il trascendente ed il trascendentale.
Il termine trascendente ha finito col mantenere quasi in toto il significato originario e storico del verbo da cui deriva, transcendere. Con questo aggettivo s’intende – e si è soliti indicare – una realtà che è “al di fuori” e/o “al di sopra” di un’altra realtà, la quale, per l’appunto, ne risulta essere inferiore e, quindi, trascesa. Il rapporto di dipendenza e di giustificazione è unidirezionale: solo la realtà trascesa dipende “in forza” dalla realtà che la trascende. Un esempio classico riguarda il logos di Platone: secondo Platone le idee sono trascendenti rispetto alle questioni empiriche, nel senso cioè che tutto ciò che è tangibile empiricamente trova la propria legittimazione su di un piano sovrastante e trascendente. Il trascendente, dunque, si oppone all’immanente: immanente è, difatti, tutto ciò che non può ontologicamente separarsi e/o estraniarsi e/o alienarsi dal piano di realtà che ne costituisce la sua stessa costituzione ed essenza. Il trascendente non è mai soggetto a tali limitazioni o condizioni. Anche in questo caso, un esempio classico può esserci fornito dal contrasto ideologico tra il logos trascendente platonico e l’immanenza sistemica di Aristotele.
Per quanto concerne l’evoluzione di significato del termine trascendentale, è possibile sostenere come suddetto termine abbia mantenuto, nel corso del tempo, in comune con l’aggettivo trascendente non solo l’etimologia di base ma anche il significato originario di “entità che supera un’altra”. Ad ogni modo, la distinzione concettuale è da attribuirsi a Kant – il quale, tuttavia, proprio a dimostrazione di come il secondo termine derivi in parte dal primo, non esitò molto spesso ad usare transzendental come sinonimo di transzendent -. Stando a quanto sostenuto da Kant, trascendentale è tutto ciò che trascende l’esperienza in quanto, sul piano della soggettività, l’entità pensante è aprioristica al piano della tangibilità empirica, mentre trascendente è tutto ciò che trascende l’esperienza ma solo nel senso dell’oggettività noumeica – cioè platonica, dove il Noumeno è un’idea non percepibile nel Mondo tangibile e raggiungibile solo attraverso il ragionamento -. La distinzione quindi si fonda sul punto di partenza dell’analisi gnoseologica: se è ontologicamente soggettivo, allora è trascendentale, se, al contrario, è ontologicamente oggettivo allora trascendente.
Tenete molto bene a mente che questa è soltanto una breve e generica spiegazione in seno alla nascita ed evoluzione, in campo filosofico e concettuale, di questi due termini. Moltissimi approfondimenti, anche di carattere filologico, potrebbero e dovrebbero esser fatti nei riguardi sia della Scolastica sia anche della filosofia classica.
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