TRA COMPLOTTISMO E GIUSTIFICAZIONISMO.


Si tratta di una vera e propria piaga di cui, molto probabilmente, non riusciremo – in quanto genere umano – mai a liberarci. Mai. E chi ritenesse – o avesse ritenuto -, appellandosi e abbracciando gli slogans passati del tipo «Internet vi renderà liberi», che il Web 2.0 sarebbe stato in grado di promuovere solo e soltanto acculturazione, di modo da far proliferare in ciascuno di noi coscienza critica e capacità oggettiva di agnizione della realtà a noi contemporanea, ha finito col commettere un grossolano errore di valutazione. Questo è effettivamente indubbio.

Sulla scia di quanto avvenuto in questa maledetta estate tra Francia e Germania, il “popolo del Web” si è, per lo più, distinto in due enormi correnti di pensiero. Il tutto per dimostrare, ancora una volta, come la Rete – ampiamente intesa – possa davvero assumere le sembianze di un vero e proprio predittore antropologico per il genere umano, riuscendo a cogliere fin nel medio-lungo periodo tutti quegli iperbolici picchi di ignoranza ed analfabetismo che già oggi ci stanno investendo in pieno e con forte virulenza.

Da un lato abbiamo i complottisti. Per i complottisti tutto risale e deve essere giustificato su di un piano di lettura superiore, che trascende l’evento in sé e le dinamiche socio-politiche che lo determinano. Il complottista non s’interroga del perché un cittadino possa diventare un foreign fighter, ad esempio; il complottista si chiede come sia possibile che il parabrezza del camion utilizzato per la strage di Nizza non abbia segni di proiettili sul lato del guidatore. E non si tratta di una questione che non meriti di essere colta o posta ad analisi, non fraintendetemi; il problema, piuttosto, è che essa finisce col servire solo per legittimare una lettura macro-sociale, finalizzata alla formulazione e diffusione di speculazioni e congetture di natura geo-politica, nella maggior parte delle volte. Una vera e propria decontestualizzazione sia dell’indagine sia dell’oggetto posto ad analisi.

Messi da parte i complottisti, ci ritroviamo subito in compagnia dei giustificazionisti del mestiere. Il “risalire alle crociate” come fonte di giustificazionismo storico, per – non voglio dire legittimare, ma tant’è – tentare di comprendere il perché dello svilupparsi del fondamentalismo islamico, è arte diffusissima in Rete. Con buona pace per la Storia strincto sensu – e, soprattutto, per quella “linearità” del susseguirsi degli eventi nello sviluppo della storia medesima, dato che la prima crociata avvenne (anche) in risposta ad un qualcosa che era già precedentemente accaduto a Costantinopoli -. Alcuni motti – massicciamente condivisi all’interno del Web e conditi da likes e “pollici su” -, del tipo «abbiamo iniziato noi», «i primi terroristi furono i cristiani» et similia, sono alla base della prassi comunicativa del giustificazionismo di massa. Da lì poi prendono vita tutte le correnti agnostiche o pseudo tali che approfittano (letteralmente) di tali tragedie per diffondere la pratica ateista ed il proprio culto dogmatico del “non Dio”: «la religione non è cultura, è ignoranza», «la religione è culto e non cultura» e via discorrendo, sono solo alcune delle innumerevoli bestemmie culturali di cui ho avuto testimonianza in seno ai principali Social Network Sites.

Si tratta, ad ogni modo, di una dicotomia assolutamente priva di un qualsivoglia reale fondamento. Assistiamo ad una idiosincrasia superficiale e di mera facciata. Perché il fine ultimo di ambedue le osservazioni è quello di un nulla ripieno di un niente. Si ragiona, per assurdo, su questioni macro-sociali, dai connotati fortemente politici ed economici – stando proprio a quanto sostenuto dai due schieramenti -, senza rendersi conto del fatto che non solo le argomentazioni sono colme di contraddizioni e/o legittimate da semplici speculazioni, ma addirittura non comprendendo come tutta la questione posta in essere verta, in realtà, su situazioni e dinamiche dannatamente micro-sociali, che richiederebbero anche una specifica contestualizzazione territoriale – proprio per meglio comprendere quella precisa realtà sociale ed i suoi impianti normativi di riferimento -. Ritengo, dunque, sia proprio il piano di lettura ad essere completamente fuorviante. Ragioniamo per assurdo, per un istante.

Si ipotizzi che la realtà nella quale viviamo sia effettivamente quella decifrata da una lettura complottista o giustificazionista – scegliete quella che meglio vi aggrada -. E allora? Nel senso, potremmo anche accettare – sempre per assurdo – che il tutto sia pilotato o che il tutto debba esser giustificato aprioristicamente ma, alla fine dei conti, sul piano della concretezza dell’argomentazione trattata e posta ad analisi, cosa ne ricaviamo? Ovvio che una lettura globale sia necessaria e debba esser fatta, ma nei confronti della medesima è davvero necessario risalire? Piuttosto che parlare in termini macro di geopolitica – attenzione, in termini (sempre) complottisti e/o giustificazionisti – non risulta chiaro che il problema affondi le proprie radici in situazioni micro-sociali? Non dovremmo chiederci perché in quel determinato contesto territoriale, urbano, nazionale e via discorrendo, le integrazioni non siano state correttamente poste in essere ed assimilate? Non dovremmo interrogarci sul perché sia così estremamente facile arruolare proseliti tramite un indottrinamento religioso fazioso e deviato? Non dovremmo cercare di comprendere come possa essere possibile che un cittadino tedesco o francese decida di sacrificare la propria esistenza a seguito dell’adesione ad una cultura apologeta dell’odio e del ripudio della vita? Non dovremmo tentare di cogliere quali “funzioni” stia davvero svolgendo quel particolare credo religioso in quel preciso contesto urbano? Non dovremmo studiare la comunità e la pluralità (e diversità) di componenti di cui essa si costituisce?

Il problema di fondo, quello che realmente giustifica il porsi in essere di tali sciagure, è il complotto di una pseudo politica mondiale? Oppure tutto deve essere letto come una diretta conseguenza di azioni passate ed ora denunciate per mezzo di imbarazzanti – nonché opportunistici – revisionismi storici? Tutto può davvero essere banalmente giustificato da queste dinamiche di studio?

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