OLIMPIONICI (ANCHE) NELLA VERGOGNA.


Non vi è alcun dubbio. O, ad ogni modo, per essere precisi o, tutt’al più, per tentare di valorizzare un minimo di correttezza e di onestà intellettuale, non può esservi, per forza di cose, dubbio di nessun tipo: Islam El Shehaby ha finito col tramutarsi nell’immagine più brutta e degradante – e forse non solo sportivamente parlando – di questa intera avventura olimpionica brasiliana – sperando che, da qui alla fine dei Giochi, episodi comprovanti un così retrogrado background culturale ed una profonda volgarità non si ripetano nuovamente -. Vedere il judoka Or Sasson costipato ed allibito, con la mano tesa verso il vuoto – un vuoto che è apparso ai più come un profondo abisso di intolleranza ed odio, sia culturale che etnico -, mentre il suo avversario egiziano di cui sopra – sconfitto pochi attimi prima -, ignorando completamente il segno di rispetto e di distensione, non gli tende anch’egli la mano e si allontana dal tatami come se nulla fosse, è un’immagine che letteralmente uccide. Perché sovrappone la politica allo sport. Perché ci fa ricordare di quanto odio e di quanta profonda intolleranza – a tutti i livelli, persino a quelli inerenti la competenza e la formazione atletica – sia costituito questo nostro stesso Mondo. L’onore ed il rispetto del proprio “essere un atleta” e di quello ricoperto dal proprio avversario vengono, quindi, giustificati solo e soltanto sulla base di un’approvazione politica-culturale formulata aprioristicamente nei riguardi di chi ci sta di fronte. Un segno di una brutalità, in termini anche prettamente umanistici – considerando proprio la contrapposizione culturale “giudaismo-islamismo” -, impressionante. E dallo scontato e grandissimo impatto mediatico. Si tratta di un vero e proprio stigma sociale di cui ora Islam El Shehaby ne sarà il portatore a vita. Ma il problema forse – ma forse anche no – risiede proprio nel fatto che una tale oscenità attitudinale, dal suo stesso artefice non sia nemmeno stata minimamente percepita come tale. Ed è questo, in effetti, il vero problema; lo scoglio che nuovamente si è mostrato a noi come dannatamente insormontabile.

Olimpiade Rio 2016 #01

Vi è anche da dire, a mio modesto parere, che, nel caso in cui volessimo affidarci ad un cinico e (forse) opportunistico pragmatismo, dovremmo esser anche grati allo pseudo atleta di cui sopra per il gesto compiuto. Meglio che queste “incomprensioni” vengano alla luce. Sono da sempre a favore di un forte riconoscimento della “partecipazione pubblica” – sia socio-politica che prettamente comunicativa – nei confronti di tutte quelle differenze etniche e culturali che condividono un comune contesto sociale. Il ragionamento, questo medesimo ragionamento lo trasferisco anche sul piano, quindi, della competizione atletica che, fra le altre cose, gode di un forte seguito televisivo (e non solo). Soprattutto poi quando concerne appuntamenti mondiali come le Olimpiadi. Bene, dunque, ricordarsi quanta “distanza valoriale” ancora vi sia, a patto che si tenga sempre bene a mente che non è la distanza in sé ad essere un problema ma, bensì, il fatto e la mera possibilità che essa possa tradursi poi in una lotta intollerante e sanguinaria per la violenta affermazione di una sola delle varie “componenti culturali” poste in gioco. 

Certo, solo il semplice rimembrare quello che in tempi antichi e passati – epoche nelle quali i concetti di laicità, di pluralismo religioso, di Stato di Diritto et similia erano totalmente ignorati – rappresentò, in termini prettamente valoriali, l’Olimpiade strincto sensu, e di come guerre e diatribe venivano pesantemente interrotte per garantire lo svolgimento corretto – o, ad ogni modo, il più corretto possibile – delle competizioni atletiche, fa pesantemente storcere il naso. Oggi più che mai. Ma, forse, anche tutto questo clamore e scandalo internazionale altro non è che un effetto – uno dei tanti – di quest’epoca profondamente mediatica e mediatizzata. Persino la spettacolarizzazione dell’ignoranza e dell’oscurantismo pare che debba, per forza di cose, doversi ritagliare una sua buona fetta di attenzione. Perché viene veramente da chiedersi se tutto questo non sia voluto – da parte dell’esecutore del gesto – ed, al contempo, incoraggiato e giustificato – da parte della realtà mediatica ipso facto – solo per fini meramente “visivi”.

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