SATIRA, ATTO II: C’ERA UNA VOLTA IL JE SUIS…


Nuovamente qui a parlare di Charlie Hebdo. Di nuovo. E con la indubbia certezza che, così facendo, io non dia altro che rilievo ed importanza ad un qualcosa che, almeno per il sottoscritto, meriterebbe di essere ignorato in toto. Già la vignetta sulla lasagna all’italiana – “corretta” ed “integrata” poi da una seconda, forse perché il messaggio visivo non era proprio stato chiarissimo fin da subito – mi aveva letteralmente fatto cadere le braccia; ora gli illuminati giornalisti francesi se ne ritornano con questa raffigurante la slavina che ha colpito, giorni addietro, l’albergo di Rigopiano. Il dramma non è tanto la vignetta in sé. Del resto, per quelli che come me fanno una fatica mostruosa ad annoverarla tra i contributi della letteratura satirica, sarebbe, per davvero, sufficiente ignorarla e passare oltre. Il dramma, in realtà, è rappresentato da quel “Mondo manicheo” che si viene ad originare ogni qualvolta questa redazione – a cui sollecito una rilettura approfondita della storia del proprio Paese – diffonde la sua attenzione giornalistica nei nostri riguardi.

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Questa è satira? Per me, no. Ma ripeto:  non lo è per me. E non tanto perché sono portato a ritenere che non su tutto si possa fare satira o che si debba anche “attendere” (magari) il momento giusto per farla – forse in quella redazione le notizie non arrivano in tempo reale, ma si lavora ancora nella più recondita ed umana speranza di poter estrarre altre vite da quelle macerie; nel suo dover essere necessariamente cinica, la satira non può più presentarsi umanitaria? -; quanto, piuttosto, perché la satira o adempie ad una precisa funzione di denuncia o altrimenti andrebbe semplicemente declassificata di genere. Non fraintendetemi. La satira può essere violenta, disturbante, aggressiva, e via discorrendo. Ma non forzata. O, almeno, non del tutto. Anche in questo caso, esattamente come in quello della famigerata lasagna, il dover risalire alla denuncia sui ritardi nei soccorsi – senza contare che non mi pare proprio che la Francia, ultimamente, possa essere presa a modello di pronto e preventivo controllo in seno al mantenimento dell’ordine pubblico – attraverso la figura della morte che scende sulla slavina, mentre è in procinto di travolgere tutto e tutti, a me (e ripeto, a me) appare dannatamente strumentale e fuori luogo. C’è questa macabra ricerca della sottigliezza dei significati; forse perché in taluni salotti essa è considerata simbolo di cultura ed intelligenza.

Anche sul mero concetto di “strumentalità”, ne ho lette parecchie ultimamente. Chi accusa Charlie Hebdo di cinismo ed insensibilità, sostiene che la redazione strumentalizzi, per fini di vendita, la sofferenza e la morte di questi innocenti cittadini. Sull’altro “versante manicheo”, coloro che invece difendono in termini assoluti la libertà di satira – di qualunque tipo essa sia ed indipendentemente dai contenuti di cui essa si costituisca -, affermano che sono i denigratori stessi, in realtà, a strumentalizzare quelle morti per fare della bieca censura. Ma di cosa stiamo parlando? Ci troviamo nel “mondo della comunicazione”. Di massa, per di più. Ogni notizia, per esser tale, ha bisogno di esser legittimata e giustificata sulla base di un qualcosa. Si tratta del solito “gioco di ruolo”, del quale, a quest’ora, avremmo dovuto capirne almeno le regole basilari. Vi sarebbe stata la vignetta, senza la tragedia? Non credo. Le critiche o le difese ad oltranza? Difficile il solo pensarlo. Si insiste a ragionare tramite schieramenti presi, per assolutismi e sulla base di un cieco indottrinamento aprioristico – forse anche dai connotati specificatamente politici -, continuando a ignorare cosa sia effettivamente giusto fare: l’argomentare secondo logica. Tutto qui.

Sarebbe sufficiente che coloro che considerano questa vignetta come offensiva o come non semplicemente riconducibile alla satira lato sensu, la ignorino, spiegando magari la loro motivazione. Che senso ha l’andare a dar vita ad una vera e propria guerra di cultura diffondendo e pubblicando offese, ingiurie e illazioni sulla pagina Facebook della redazione di Charlie Hebdo? Liberi di farlo, sicuramente. Ma in tal modo non si fa altro che dar adito e valorizzare un qualcosa che, al contrario, vorremmo non fosse minimamente contemplato. A coloro che, invece, si ergono ad elevati paladini della libera manifestazione del pensiero – i quali, fra le altre cose, si dimostrano essere anche i meno tolleranti per quanto concerne la salvaguardia delle opinioni altrui – e che pomposamente inneggiano – mentre cavalcano un lucente bianco destriero prima di lanciarsi alla battaglia – alla difesa dei diritti inalienabili dell’essere umano, consiglio di fare un minimo di mente locale e di chiedersi, in tutta oggettività, se durante questi ultimi anni, ad un crescendo della libertà riconosciuta sia andato di pari passo anche un progresso culturale ed un incremento qualitativo nell’utilizzare questa stessa sopracitata – e tanto decantata – libertà.

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