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Come abbiamo visto, il Mondo, stando alla filosofia di Merleau-Ponty, non può ridursi né ad una mera somma di oggetti percepibili né ad una ingannevole illusione dei sensi, dalla quale tenersi sempre lontana. Ma, in termini propriamente pontyani, non si tratta di un vero e proprio diniego della pratica empirica o razionalista; è, piuttosto, la consapevolezza di dover rileggere e reinterpretare (anche) queste due metodologie epistemologiche, dato che l’esperienza percettiva ci obbliga, continuamente, ad aprirci al Mondo, costringendo, al contempo, quest’ultimo ad aprirsi a noi.
Tutta la premessa filosofica, che abbiamo fino ad ora esposto, ci consente d’iniziare ad addentrarci, più nello specifico, nei contenuti della filosofia di Merleau-Ponty. Innanzitutto, partiamo con l’esporre i tre capisaldi fondamentali della fenomenologia pontyana:
- La relazione esistente tra “noi” ed il “Mondo” non si riduce al semplice rapporto tra pensatore ed oggetto del pensiero;
- L’essenza dell’oggetto percepito non si esaurisce e/o risolve nella formulazione (mentale) di un teorema assoluto o relativo – né nell’adesione allo stesso -;
- L’esistenza percepita non è assimilabile all’esistenza ideale – il che non rende Merleau-Ponty un esponente dell’idealismo filosofico -.
Questi tre principi conducono il filosofo francese alla seguente riflessione: non possiamo “applicare” alla percezione la classica (ed accademica) distinzione tra “forma” e “materia”. Di conseguenza, non è possibile considerare il soggetto percipiente come un individuo del tutto capace di ordinare, interpretare, decodificare, e via discorrendo, la materia che gli si presenta attorno nelle forme di oggetti sensibili. «La materia è pregna della sua forma», ovvero il Mondo si apre a noi e si palesa come l’unico nostro orizzonte di riferimento, indipendentemente da quanto di esso noi conosciamo. Questo pone, subito, la fenomenologia pontyana in contrasto con due precetti del filosofare classico: “tra il percipiente e l’oggetto percepito, vige sempre una forte contraddizione tra immanenza e trascendenza”. Perché ogni cosa si apre a noi (immanentismo), ma di ogni cosa vi è sempre un “non so che” che è al di là (trascendentalismo) e che ci obbliga a rileggere sempre le nostre esperienze percettive.
Come abbiamo sostenuto poc’anzi, Merleau-Ponty non è un idealista. “Il Mondo delle idee non è sovrapponibile al Mondo della percezione“. Ovvero, l’idea lato sensu non è apodittica per il filosofo francese – ovvero non è mai evidente di per sé o inconfutabile una volta comprovata dai fatti -. Esattamente come il pensiero non è mai atemporale. L’idea, quindi, frutto del nostro pensare, dipende sempre dal periodo della nostra vita e dal contesto storico-culturale nel quale stiamo vivendo. La sovrapposizione tra questi due Mondi è, dunque, fallace proprio perché alla certezza di una idea non corrisponde (meccanicamente) la certezza di una percezione. Anzi. È l’idea stessa che si fonda sulla percezione, dato che è l’esperienza percettiva che ci fornisce continuamente il mutare del tempo e del contesto storico-culturale nel quale viviamo. Questo significa che percepire significa anche “continuare a percepire ininterrottamente sé stessi”. Questa dinamica è fondamentale. Percezione, visibilità, sensibile, relazione et similia, sono soltanto alcuni dei termini più inerenti la filosofia pontyana.
Tutto il Mondo si costituisce di relazioni; obiettivo della filosofia fenomenologica è di coglierne ed individuarne l’esistenza. Non di interpretarne il senso assoluto di veridicità. Partiamo da un esempio molto banale: davanti ai miei occhi c’è una lampada. Ed io, in quanto essere dotato di capacità percettiva, la sto osservando. Ora. In questa stanza. Esattamente come essa si presenta dinanzi a me, dal mio punto di vista prospettico. Mi chiedo: “Il lato di questa lampada che non riesco a vedere… come sarà mai?”. La psicologia potrebbe togliermi ogni dubbio, sostenendo come io possa, tranquillamente, rappresentarmi mentalmente quel lato non visibile e non percepibile (dal mio punto di vista), semplicemente, rispettando questa dinamica epistemologica:
Il lato che non vedo non è attualmente esistente perché non riesco a percepirlo.
↓
Mi rappresento mentalmente il lato che non riesco a scorgere dalla mia posizione.
↓
Il lato è ora rappresentato nella mia mente.
Ma si tratta di una dinamica inaccettabile per la fenomenologia. Perché la percezione non può ridursi ad una mera logica psicologica. Merleau-Ponty, del resto, potrebbe tranquillamente sostenere come quel lato “invisibile” non sia assolutamente immaginario. Ovvero, come non sia necessario doverselo rappresentare mentalmente. Esiste. Solo che è dietro “al lato visibile” della lampada. Non posso sostenere che “mi è rappresentato”; sarebbe sufficiente cambiare posto di osservazione per poterlo scorgere chiaramente.
Gli idealisti, allora, sosterrebbero che quel lato “invisibile” potrebbe venire “anticipato”, grazie all’idea che io possiedo di quella lampada. Mi spiego meglio: poniamo il caso che io conosca questa lampada. So come è fatta. L’ho vista centinaia di volte. All’attuale percezione, che, dal mio punto di vista, ho di essa (ora e qui), posso sovrapporre l’idea che possiedo di questa mia lampada? No. Perché l’idea non è sovrapponibile alla percezione. Lo abbiamo detto poc’anzi. Ma, ovviamente, un conto è dire ed un conto è capire. Ragioniamo con logica. Perché no? In effetti, sembrerebbe tanto naturale come soluzione. So come questa lampada è fatta. Ne possiedo una chiara idea. La conosco molto bene. Perché la mia parziale percezione non può esaurirsi in questo mio logos? Il fatto è che il punto di vista dal quale sto osservando la lampada non si fonda sull’idea che possiedo della stessa. E non la legittima nemmeno. Al contrario. Si basa sull’esperienza percettiva, dando, al contempo, contenuto alla stessa. L’idea, che ne scaturisce, è da essa che prende forza: «È vero che la lampada implica un retro […] Ebbene questa formula, “è vero”, non corrisponde a ciò che mi è dato nella percezione, la quale non mi offre delle verità come la geometria, bensì delle esperienze.» Il lato non visibile della lampada non è “spiegabile” tramite una “percezione idealista possibile”. Ma, allora, nei riguardi di un oggetto sensibile come una lampada, cosa debbo fare io per cogliere ciò che la percezione non mi permette di notare? Come sostiene Merleau-Ponty è sufficiente affidarsi ad una “sintesi pratica”. Sarà sufficiente che mi alzi e cambi punto di osservazione. O magari che io la tocchi, di modo da percepirla anche nel suo lato nascosto. Questo è il percipi ovvero la “semplice prova sensibile”.
Ma è quando passiamo dalla percezione di un oggetto sensibile alla percezione del Mondo sensibile che il tutto si complica. Ed è lì che idealismo, empirismo, psicologismo, ecc., risultano essere inadatti per comprendere realmente chi siamo e come a noi si apra tutto il Mondo che ci circonda. La vera fenomenologia inizia in quel frangente. E lo comprenderemo meglio analizzando il percorso filosofico tracciato proprio da Merleau-Ponty.
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