OGGETTO O CONTENUTO?


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Chiarito come l’intenzionalità di ciascuno stato mentale si costituisca sia della direzionalità stessa – l’oggetto verso cui si dirige il pensiero – sia della mera aspettualità – la forma (relativa e prospettica) di ciò che osserviamo -, resta da comprendere quale tipo di rapporto esista tra l’oggetto intenzionale (il primo) ed il contenuto intenzionale (il secondo). Nel primo caso, come abbiamo visto, è la direzionalità a caratterizzare lo stato intenzionale; al contrario, nel secondo caso, è l’aspettualità a svolgere tale funzione. La domanda, infatti, che dovremmo porci è la seguente: “L’ascrizione di uno stato intenzionale verte specificatamente sull’oggetto intenzionale o sul contenuto intenzionale?”.

Crane sostiene che la struttura di uno stato intenzionale possa essere descritta nel modo seguente:

Soggetto → Modo intenzionale → Contenuto

I modi intenzionali sono le relazioni che intercorrono tra il “pensante” ed il contenuto del suo stesso stato intenzionale. Un esempio di modo intenzionale è rappresentato dal cosiddetto “atteggiamento proposizionale”. Il contenuto di molti stati intenzionali è, infatti, proposizionale, ovvero suscettibile di essere vero o falso; ad esempio, una credenza o un enunciato può essere ascritto come “contenuto proposizionale”. Gli stati mentali che si costituiscono di simili contenuti vengono generalmente identificati come “atteggiamenti proposizionali”, per l’appunto. Ora, il punto è che, all’interno della struttura presentata da Crane, la relazione sussiste tra lo stato intenzionale ed il contenuto (aspettualità) e non tra lo stato intenzionale e l’oggetto (direzionalità).

Secondo il filosofo «[…] il contenuto dello stato deve sempre esistere, l’oggetto dello stato può non esistere.» Difatti, già avevamo notato, come gli oggetti intenzionali possano essere esistenti, schematici e/o privi di sostanzialità; tant’è che gli stati intenzionali stessi vengono ascritti ora in modo “intensionale” ora in modo “estensionale”. In poche parole, potremmo risolvere il tutto seguendo questa formula: “posso pensare al nulla, ma non potrò mai pensare nulla”. Se l’oggetto, verso cui dirigiamo la mente, non dovesse esistere – pensiamo, ad esempio, a Pegaso -, allora il nulla “dominerebbe” il nostro stato intenzionale. Ma questo “nulla” avrà sempre un contenuto – due ali, quattro zampe, possenti zoccoli, un manto bianco e via discorrendo –.

Dato che non tutti gli oggetti intenzionali esistono, non è possibile costituire una classe che li racchiuda tutti quanti. Quindi, non tutti gli stati intenzionali hanno relazioni con i propri oggetti intenzionali (i relata degli stati medesimi) – come abbiamo appena potuto constatare -. E visto che i pensieri concernono (anche) oggetti inesistenti, ne segue che «non tutti i pensieri sono relazioni tra chi pensa e ciò che tali pensieri concernono.» Ma ci sono anche tanti pensieri che hanno una relazione con altrettanti oggetti intenzionali. Si tratta quindi di suddividere in due categorie il pensiero lato sensu:

  1. pensiero “ampio” – o “dottrina dell’esternalismo”, che afferma come tutti gli stati intenzionali siano ampi -;
  2. pensiero “stretto” – o “dottrina dell’internalismo”, che sostiene, al contrario, come alcuni stati intenzionali siano, invece, stretti -.

In genere l’esternalismo implica che, in quanto tale lo stato mentale, l’oggetto intenzionale sarà sempre esistente. Una frase banale del tipo “Cesare attraversò il Rubicone” veicola il pensante a ritenere esistenti sia Cesare che il suddetto fiume, ad esempio.

L’internalismo non nega che i pensieri possano vertere (anche) su oggetti reali. Sostiene, invece, come gli stati mentali, che si riferiscono ad oggetti inesistenti, siano stretti. Ma questa “strettezza” può essere anche molto sottile – concettualmente parlando -: una frase del tipo “questa mela sembra gustosa”, in un’ottica internalista, implica uno stato intenzionale costituito di un oggetto inesistente. Il pensiero – in questo caso il mero “sembra gustosa” – non giustifica l’esistenza ontologica dell’oggetto. Perché, indipendentemente dal fatto di osservare o meno la mela, il pensiero medesimo esisterebbe anche qualora la stessa non fosse presente. Ecco perché, nel nostro caso, il pensiero non è una relazione con la mela. In sintesi: può esistere un pensante e la cosa pensata, ma senza che tra di essi sussista una relazione. Se, infatti, il pensiero avesse una relazione con l’oggetto, allora quest’ultimo sarebbe necessario per l’esistenza dello stato mentale stesso. Per gli internalisti, dunque, è fondamentale saper distinguere quando l’oggetto del pensiero è una cosa reale e quando, invece, è una cosa essenziale. Se un pensiero è “compatibile” con l’assenza del suo oggetto, allora è un pensiero stretto.

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