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Sulla scia della non risoluzione del dualismo cartesiano, Crane sofferma la propria attenzione sulla diatriba esistente tra “monismo materialistia” e “fisicalismo”. Stando al primo, qualsiasi cosa è composta e costituita di materia. Per il secondo, al contrario, moltissime oggettualità – forze, onde, campi et similia – non sono sostanze. Il fisicalismo è – ontologicamente ed epistemologicamente – apriorico; tende a legittimare una vera e propria “copertura” totale su tutta quanta la realtà sensibile. Tutto ciò che occupa una dimensione spazio-temporale è ascrivibile a leggi e metodi derivanti dalla fisica. Tutto, quindi, si verifica ed è interpretabile per mezzo delle leggi fisiche. Il suo essere apriorico non significa negare l’approccio empirico, ma ripudiare la definizione (cartesiana) di materia. Si tratta, per lo più, di sottolineare come il Mondo sensibile appartenga alla fisica da un punto di vista epistemologico; i postulati possono poi divenire oggetto di verifiche e correzioni.
Secondo Crane una vera e propria idiosincrasia concettuale si origina quando tentiamo di far coesistere la “causalità della mente” – ovvero il riconoscere la possibilità che gli effetti fisici abbiano una causa mentale – con la “completezza” del fisicalismo – ovvero il sostenere che gli effetti fisici dipendano, solo e soltanto, da cause fisiche -. Procediamo con ordine.
Innanzitutto Crane si domanda se il dualismo sia inevitabile. E per farlo prende in considerazione due teorie, nel tentativo di evidenziare una possibile convergenza tra “mente” e “fisica”. La prima teoria è quella della “sovradeterminazione causale”; la seconda verte sul “principio d’identicità”.
Stando alla “sovradeterminazione causale (o degli effetti)”, la causa mentale può essere ritenuta alla stregua di una vera e propria “causa ulteriore”, rispetto a quella più prettamente di natura fisica. La sovradeterminazione causale si verifica quando un effetto fisico ha più di una causa. Secondo questa teoria, l’evento in questione produce l’effetto (preso in esame) grazie al verificarsi di una sola tra le sue cause. Pensiamo a due persone che sparano due colpi di pistola (indipendenti gli uni dagli altri, ma entrambi letali) ad un uomo: nel caso in cui un colpo non andasse a segno, l’altro produrrebbe, ad ogni modo, l’effetto di ucciderlo. Dobbiamo, quindi, accettare la dinamica secondo la quale le cause mentali e fisiche non sovradeterminino i loro effetti fisici. Il problema concettuale è che una tale non sovradeterminazione finisca inevitabilmente col negare la causalità stessa: se A (gli spari) è la causa di B (la morte dell’uomo), allora se A non si verifica, B non accade. Ma abbiamo appena detto che qualora uno sparo dovesse mancare il proprio bersaglio, l’uomo morirebbe comunque! Quindi è una soluzione che non scioglie il dualismo di cui sopra.
Crane sostiene come una soluzione filosofica potrebbe trovarsi nel “principio di identicità”: le cause mentali sono identiche alle cause fisiche. C’è una sola causa. E nessuna sovradeterminazione. Le cause mentali sono le stesse di quelle fisiche – e, ovviamente, risiedono nel cervello -. L’identicità tra mente e corpo risolve l’impasse dualistico di cui sopra. La identicità si presenta sotto un duplice aspetto:
- tra eventi (mentali e fisici);
- tra proprietà (mentali e fisiche).
Nel primo caso, le cause sono eventi; nel secondo, proprietà.
Il principio di identicità nega il “fisicalismo eliminativo” e spalanca le porte al “riduzionismo”. Il primo sottolinea come non esista nulla di mentale: né eventi né proprietà. Il riduzionismo, dal canto suo, non implica che un qualcosa venga trasformato in qualcos’altro; si tratta, invece, di cogliere la ragione che possa permettere d’identificare A con B. Ma attenzione! La riduzione non implica l’identità A=B, perché la riduzione, a differenza dell’identicità, non è simmetrica: se riduco A a B, non posso dire che A=B perché B≠A.
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