KANT E LA PACE PERPETUA: PARTE PRIMA.


Studiare la filosofia kantiana è procedura alquanto complessa. E la complessità deriva, almeno in parte, dall’enorme mole di scritti che lo stesso filosofo tedesco ha prodotto e lasciato ai posteri. Ritengo, dunque, vantaggioso soffermare la propria attenzione su alcuni dei testi più importanti, di modo da poter cogliere, poco alla volta, le intuizioni e le argomentazioni portate avanti da colui che viene generalmente considerato essere il più importante pensatore dell’Illuminismo tedesco. Come prima opera, inizierei con il prendere in esame il progetto filosofico pubblicato per la prima volta nel 1795 sotto il nome de Zum ewigen frieden, meglio conosciuto come Per la pace perpetua. Lo scritto si sviluppa lungo due sezioni, suddivise, a loro volta, in vari e distinti articoli, ed in una appendice conclusiva. Procediamo con ordine, dunque.

In questo primo articolo, tratteremo la prima sezione del progetto filosofico di Kant. Essa si va costituendo di sei distinti articoli:

  1. «Nessun trattato di pace che sia fatto con la segreta riserva di materia per guerre future può valersi come tale.» Kant, difatti, sostiene come questa, in tal caso, non dovrebbe venire chiamata “pace” – tanto meno, “perpetua” – ma solo mera “tregua”. Il fatto è che le cause (attuali) per una ipotetica guerra (futura) verrebbero ipso facto abrogate e rese nulle dalla stipulazione del trattato di pace medesimo – a patto che di trattato di pace si tratti, ovviamente -, rendendo così vano l’accumulo di risorse militari;
  2. «Nessuno stato indipendente (piccolo o grande, qui è lo stesso) deve poter essere acquistato da un altro Stato per eredità, scambio, compera o donazione.» Uno Stato, difatti, sostiene Kant, non è un patrimonio, ma, al contrario, una società di uomini, sulla quale l’unico che ha il diritto di disporre e di comandare è lo Stato stesso. Annetterlo ad un altro Stato tramite acquisto e/o successione e/o donazione e via discorrendo, implicherebbe la distruzione morale della cittadinanza. Kant integra inoltre questo articolo con un’osservazione molto interessante ed in parte concernente il primo articolo: anche la concessione di truppe ad un altro Stato per combattere uno Stato terzo – nemico non comune – è una politica da scongiurare, perché significherebbe disporre dei propri sudditi come fossero mere merci da usare e consumare;
  3. «Gli eserciti permanenti (miles perpetus) devono col tempo scomparire del tutto.» Si tratta, per l’appunto, di una diretta conseguenza logica di quanto esposto nel primo articolo della prima sezione del progetto kantiano inerente il perseguimento della pace perpetua. Dato che le guerre future risultano scongiurate nel momento in cui il trattato di pace viene siglato, è inutile investire risorse per mostrarsi armati agli altri Stati e (sempre) pronti alla guerra. Kant sottolinea però l’importanza del servizio volontario: «Del tutto diverso è l’esercizio volontario, intrapreso periodicamente, del cittadino in armi, per garantire così sé e la sua patria da aggressioni esterne.»;
  4. «Non devono essere contratti debiti pubblici per le relazioni esterne allo Stato.» Si tratta di una questione particolarmente delicata. L’illuminista sostiene come la contrazione di forme di debito pubblico per il miglioramento dello Stato (dentro e fuori i propri confini) in ambito economico – nuovi insediamenti, miglioramento dei mezzi di comunicazione, incremento delle derrate alimentari per prevenire periodi di carestia et similia – sia una politica moralmente lecita. Ma un sistema (internazionale) di debiti a crescita esponenziale – e dalla non riscossione immediata -, utilizzato da potenze per opporsi ad altre potenze, dà vita ad un pernicioso potere finanziario capace di veicolare e condurre i Paesi alla guerra;
  5. «Nessuno Stato deve intromettersi con la forza nella costituzione e nel governo di un altro Stato.» Sicuramente l’articolo più attinente la nostra epoca – assieme a quello precedente -. Una eventuale deroga a tale diniego Kant la ipotizza nel caso di scissioni territoriali e politiche all’interno di un singolo Stato: «Non è però da includersi in ciò il caso di uno Stato che, per discordie interne, si divida in due parti, ognuna delle quali rappresenti uno Stato particolare che rivendica l’intero; caso in cui prestare sostegno ad uno dei due non potrebbe essere imputato ad uno Stato esterno come intromissione nella costituzione dell’altro […].»
  6. «Nessuno Stato in guerra con un altro deve permettersi atti di ostilità che non potrebbero non rendere impossibile la reciproca affidabilità nella futura pace: come lo sono l’impiego di sicari (percussores), avvelenatori (venefici), la violazione di una resa, la istigazione al tradimento (perduellio) nello Stato contro cui si combatte, ecc.» Si tratta di un articolo dal contenuto prettamente etico. Kant sottolinea come un certo “rispetto” del nemico debba essere sempre tenuto in considerazione, onde evitare che il conflitto perduri ad eternum e finisca con il tramutarsi in una guerra di sterminio – bellum internecinum -. Inoltre – ed è questa una  riflessione di una modernità impressionante – in situazioni belliche di questo tipo, l’umanità commette, molto spesso, l’errore di associare il diritto “del giusto” a chi vince lo scontro armato, senza rivolgere una obiettiva valutazione morale al modo in cui tutte le parti si sono comportate durante le ostilità.

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