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Da un punto di vista più prettamente gnoseologico, per quanto concerne lo studio della moralità, si è soliti affrontare la discussione in riferimento alla contrapposizione tra “cognitivismo” e “non cognitivismo”. Analizziamo con attenzione questi due paradigmi concettuali.
La lettura cognitivista di un’idea morale si costituisce di asserzioni dal carattere per lo più descrittivo. Vi è la consapevolezza di riuscire a discernere la reale essenza del precetto morale, giungendo persino ad evidenziarne la veridicità e/o la falsità di contenuto. Il cognitivismo, al contrario, in quanto “derivante” dalla filosofia linguistica – o “metaetica” – si affida ad asserzioni dal carattere più propriamente valutativo, sostenendo come, nei riguardi di una qualsivoglia idea morale, sia impossibile comprenderne l’essenza ultima e come di conseguenza, in seno alla stessa, sia possibile, per lo più, solo formulare giudizi e/o interpretazioni valutative.
Il fatto che il cognitivismo si costituisca di un modus operandi più descrittivo, rispetto a quello valutativo del non cognitivismo, non deve sorprendere o trarre in inganno. Non più del dovuto, almeno. Il cognitivismo, infatti, è, da un punto di vista gnoseologico, oggettivista; d’altro canto, il non cognitivismo si presenta per essere una pratica concernente il soggettivismo. Si tratta, quindi, di cercare di comprendere cosa, in etica, significhino questi due concetti – la cui distanza concettuale, in alcuni casi, può (anche) non apparire così netta e chiara -.
Gli oggettivisti sostengono come sia possibile giungere sino alla reale essenza di un concetto e come, di conseguenza, lo stesso possa essere poi investito di una validità universale e generale; del resto, l’applicazione dell’aggettivo “oggettivo” ad un sistema di valori, ad esempio, fa sì che lo stesso possa godere di un riconoscimento e di una legittimazione assoluta e totalizzante. Realtà oggettive possono essere quelle concernenti il piano metafisico o teologico – la Rivelazione, ad esempio -, i cui precetti, quindi, appaiono essere come inconfutabili ed universalmente validi. Prima della esplosione della bioetica, anche le scienze naturali vantavano spesso un tale riconoscimento. Le etiche cognitiviste sono generalmente oggettiviste.
I soggettivisti, invece, non negano – in termini apriorici – la possibilità dell’esistenza (ipotetica e/o potenziale) di una realtà oggettiva: si limitano a sostenere come la stessa sia impossibile da comprendere e da perseguire in termini gnoseologici e che, quindi, l’interpretazione di un qualsiasi concetto dipenda e sia ancorata ad una credenza soggettiva del conoscente. Perciò, a differenza, degli oggettivisti, non viene contemplata l’esistenza di una realtà definita – ed esistente, per l’appunto – che sia esterna al percipiente. Le etiche non cognitiviste sono generalmente soggettiviste.
Come detto poc’anzi, a volte la distanza tra soggettivismo ed oggettivismo può non essere così netta e chiara. Vi sono, infatti, alcune etiche nelle quali è possibile scorgere anche una qualche tipologia di commistione. Ad esempio, l’etica “naturalistica a fondamento psicologico” permette di studiare gli atti psicologici del conoscente, affidandosi ad asserzioni descrittive; ma, in ogni caso, si tratta di concetti che non sono esterni al conoscente e che, dunque, godono di un “riconoscimento” profondamente soggettivistico.
Rimanendo sulla scia di quanto appena trattato, potremmo anche affrontare il tema del “relativismo” in ambito gnoseologico. Esso può presentarsi sotto due vesti:
- “relativismo soggettivista”: può essere sia cognitivista che non cognitivista. Infatti, che sia meramente descrittivo o valutativo non ha importanza: l’idea morale è descritta e/o giudicata in riferimento al punto di vista personale del conoscente;
- “relativismo convenzionale”: la ricerca gnoseologica in questo caso mira, più che altro, ad appurare che l’idea morale non sia “anacronistica” ovvero che si palesi, invece, conforme al sistema di valori, vigente all’interno di quel determinato contesto culturale. Sempre da un punto di vista gnoseologico, il doversi assicurare di ciò può spronare il conoscente a studiare a fondo lo stesso universo simbolico nel quale vive: pratica questa che può portarlo a comprendere l’esistenza di una vera e propria moralità plurima. Una tale scoperta può sfociare nel nichilismo o nell’indifferentismo etico o, ancora, nella certezza dell’esistenza di un pluralismo morale, ove ogni precetto è meritevole di riconoscimento e di tutela, e si presenta come (ipotetico) oggetto – sulla base del senso di appartenenza al proprio sistema etico di valori – di giudizio e critica.
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D’avvero molto bello ed interessante , questo articolo . Complimenti .
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