LA SOCIETÀ SECONDO MANDEVILLE: PRIME NOZIONI SUL DUALISMO.


Pubblicata nel 1705, l’opera di Bernard de Mandeville (1670-1733) dal titolo The fable of the bees, or Private Vices, Publick Benefits, tratta un dualismo, tutto sommato, alquanto ricorrente all’interno della tradizione filosofica – la contrapposizione tra una società piccola, frugale, pacifica e retta dalla virtù e dallo spirito pubblico dei propri cittadini ed una società fortemente permeata dal progresso, oltre che popolosa, commerciale e dal sempre più crescente potere militare, e del tutto priva della capacità sia di smuovere che di necessitare della dedizione dei suoi stessi membri -, ma non per questo del tutto indegno di attenzione in seno a questioni e teorizzazioni di natura prettamente morale. Iniziamo intanto con la prima forma di società trattata.

La prima forma di società teorizzata dal filosofo olandese si rispecchia in un contesto sociale poco numeroso e sviluppato all’interno di un territorio limitato. È una società fondata sull’agricoltura, autosufficiente, priva di scambi commerciali e – di conseguenza – di circolazione di qualsivoglia forma di denaro, ed i cui consumi sono inevitabilmente circoscritti e limitati ai prodotti della terra. È una repubblica. Pacifica. Non espansiva. Chiusa al lusso ed al commercio, e la cui difesa è esclusivamente affidata ai suoi stessi membri. Mandeville sottolinea la necessità che vi sia una corrispondenza tra la contenuta dimensione dell’organizzazione sociale ed il consumo ed utilizzo delle risorse ivi prodotte – consumo che, per l’appunto, deve restare particolarmente contenuto -. L’assenza inoltre di qualsiasi forma di scambio commerciale e di circolazione di denaro rende necessario il fatto che siano gli stessi cittadini a scambiarsi reciprocamente, gli uni verso gli altri, differenti tipologie di servizi. Si tratta, dunque, di una società che, per forza di cose, deve necessariamente ergersi sulla diretta volontà dei cittadini i quali, nel rispetto di una profonda e manifesta condivisione di ben definiti precetti morali, vivono – letteralmente parlando – per il conseguimento dell’interesse comune e per l’affermazione di forme di virtù civiche e sociali. Si tratta di una scelta profondamente razionale, la cui conseguenza è la consapevolezza che il perseguimento della felicità sia possibile solo esercitando le sopracitate virtù. Una domanda che potremmo subito porci è la seguente: “Qual’è il tipo di rapporto che si viene ad instaurare tra interesse privato ed interesse pubblico?”.

Secondo Mandeville le virtù morali dei cittadini sono le vere e proprie condizioni per il perseguimento, la tutela ed il riconoscimento degli interessi collettivi. In pratica, gli individui «possono essere virtuosi quanto riesce loro, senza il minimo danno al pubblico». Anzi. Sono propri i limiti imposti alla società a causa della sua stessa natura – assenza di commercio, di denaro et similia – ad “obbligare” – non in senso coercitivo, ovviamente – ciascun cittadino a porsi in modo virtuoso nei riguardi del suo prossimo e nei riguardi dei suoi personali interessi e/o intenti; l’equilibrio tra risorse, bisogni e desideri è inevitabilmente consequenziale alla struttura stessa della società. Da tutto ciò segue il fatto che ogni singolo viva virtuosamente all’interno del contesto che condivide con il suo prossimo.

Affinché possa prendere vita una società come quella appena descritta – una realtà che lo stesso filosofo reputa assolutamente possibile d’instaurazione ed affermazione -, è necessario che vengano soddisfatte delle caratteristiche ben chiare e definite. In sintesi: una società di questo tipo è una società che volutamente decide di chiudersi in sé medesima, di rinnegare le arti e le scienze, di denigrare qualsivoglia forma di sviluppo e di rigettare – senza se e senza ma – ogni ideologia legata alla prosperità materiale e/o al potere politico-militare. È una società svuotata di quelle motivazioni (passioni, desideri ed anche vizi, si badi bene!) in grado di mettere in moto la ruota del progresso della società civile. La favola in versi rivolta al pacifico e sereno alveare rispecchia un contesto in cui l’individuo vive di «pigro ozio e di stupida innocenza», dove è necessario «disporsi sia ad essere onesti che a nutrirsi di ghiande».

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