INTRODUZIONE ALLA SOCIETÀ CIVILE.


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Passiamo adesso a cogliere la fisionomia della seconda tipologia di società presentata da Mandeville. Una società permeata dal progresso e alla quale, generalmente, si è soliti attribuire l’aggettivo “civile”. Si tratta di un contesto sociale grande, assai popoloso, forte e potente da un punto di vista militare – grazie anche alla presenza di un esercito regolare, permanente e composto da soldati di professione -. È una società che vanta un forte potere politico e giuridico unitario, in grado di controllarla amministrativamente in ogni settore la stessa vada componendosi. Inoltre, è profondamente dedita al commercio e agli scambi commerciali con l’esterno. Ricchezza, gloria e “grandezza mondana” sono gli aspetti che ne definiscono la fisionomia. Il commercio è il cuore pulsante dell’intera organizzazione sociale: ognuno contribuisce al perpetuo ed inarrestabile scambio di beni e servizi. La divisione del lavoro e la specializzazione nelle attività e nelle mansioni lavorative sono la diretta conseguenza di quanto appena elencato; il denaro diviene una “istituzione” necessaria al fine di controllare le funzionalità del mercato. Una società mercantile di questo tipo è una società sempre in continua ascesa; essa non può esaurirsi all’interno di un piccolo territorio ma, al contrario, tende, inevitabilmente, a formare grandi ed estese realtà nazionali. È una realtà totalmente aperta e dedita alle scienze, alle arti, al progresso, al moltiplicarsi degli interessi, dei bisogni e – soprattutto! – dei consumi; al suo interno vige una forte cooperazione tra i cittadini, ma la stessa non è fondata sull’adesione a precetti morali universalmente riconosciuti, quanto piuttosto su di una “reciprocità interessata”: ogni membro realizza i propri fini lavorando per gli altri. Ma occorre prestare attenzione.

Una società di questo tipo non è frutto, secondo Mandeville, di una scelta ponderata e razionale dei membri che la costituiscono. Nemmeno di una singola autorità – dato che sarebbe del tutto impossibile immaginarsi la figura di un tiranno in grado di far svolgere tutte quelle mansioni che, invece, gli stessi cittadini svolgono volontariamente in quanto consapevoli che il perseguimento dei propri fini è possibile solo permettendo agli altri di perseguire i loro -. In realtà, all’interno di società come queste, non vi è identicità e/o corrispondenza (morale, oserei aggiungere) tra bene privato e bene pubblico. Secondo il filosofo, infatti, in contesti sociali come quello appena descritto, le virtù morali del singolo non implicano e non devono essere tradotte automaticamente alla stregua di un vantaggio o benessere collettivo – aspetto che, al contrario, rappresenta il fondamento della prima tipologia di società –. Questo non significa che l’intento individuale e l’interesse pubblico debbano essere sempre – e per forza di cose – antitetici. Si tratta, per lo più, di comprendere come l’eventuale corrispondenza sia solo e soltanto parziale, ovvero dipendente dal tipo particolare di rapporto di scambio esistente tra le parti in causa – con la consapevolezza che non vi sia a priori una reciprocità né d’intenti né d’intenzioni tra le medesime -. Mandeville afferma che all’interno della società civile gli interessi individuali e quelli collettivi siano divergenti o, ad ogni modo, non necessariamente convergenti – in questo risiede la dicitura Private Vices, Publick Benefits -. In pratica, una grande società richiede motivazioni, interessi, vizi e comportamenti anche moralmente non approvabili o non “vantaggiosi” per molti, e non la “pratica generalizzata” della virtù, della pace e della serenità.

Prendiamo, ad esempio, il lusso. Il lusso è un comportamento dannoso per il privato ma vantaggioso per il bene pubblico. Il lusso può portare alla rovina un’intera famiglia ed impoverire del tutto il singolo cittadino ma, nello stesso tempo, può alimentare l’industria manifatturiera, dando così lavoro a centinaia di disoccupati, incrementando il commercio e via discorrendo. Come è possibile constatare si tratta di un intento privato che diverge da un pubblico interesse – proprio come detto poc’anzi -. Si considerino altri vizi come l’alcolismo o la prostituzione. Mandeville è conscio di come questi siano comportamenti che necessitino del controllo e del pronto intervento da parte degli organi di polizia et similia, ma, al contempo, sono realtà che possono assicurare dei vantaggi ad alcune componenti della società. Lo sviluppo e la grandezza di una nazione, quindi, non può prescindere da processi sociali permeati e – letteralmente – costituiti dalla corruzione morale e dal decadimento di alcune parti della società stessa; anche l’ineguaglianza ha il suo scopo, dunque – ed in questo risiede il punto di convergenza-divergenza con Rousseau. Il seguente spunto può essere abbastanza esaustivo:

aumento dei consumi/bisogni → incremento dei vizi → degrado morale → crescita della Nazione

Palese, dunque, come il tutto si riduca essenzialmente ad una questione prettamente morale – e nuovamente il confronto con le tesi rousseauiane risulta necessario -. Ma vi è di più. Secondo Mandeville una società mercantile è inevitabilmente portata a subire e ad essere artefice di un simile tipo di sviluppo e progresso. L’aumento dei consumi e dei bisogni, coadiuvato dalla crescita degli scambi interrelazionali tra i cittadini, ha di per sé come conseguenza il provocare la divergenza tra interessi privati e vantaggi collettivi. Ciò che appare essere sconvolgente agli occhi del filosofo è constatare come tale divergenza rappresenti tanto il problema quanto la soluzione alla questione morale che attanaglia la società civile. Basterebbe infatti che la moralità si diffondesse all’interno degli scambi e dei rapporti stessi. Ma si tratta di una soluzione inarrivabile perché è la complessità della stessa società che ne impedisce il perseguimento – come detto, aumento dei consumi/bisogni → incremento dei vizi –.

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