I principi che oggi la società democratica considera inviolabili come lo stato di diritto, l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, i diritti delle donne e delle minoranze e, in genere, i diritti umani fondamentali, sono tutti frutti dell’albero cristiano piantato tanti anni fa.
Il saggio del cardinale F. Arinze ritengo possa essere considerato, al contempo, uno scritto storico, politico ed anche dal forte impatto sociologico, viste le tematiche trattate – inevitabilmente legate, infatti, alla dimensione prettamente sociale dell’uomo, per l’appunto -. Reputo, ad ogni modo, doverosa una premessa. La stessa, del resto, è esplicitamente menzionata dallo stesso cardinale P. Poupard, curatore della presentazione dell’opera. Ebbene, si rende oltremodo necessario avvicinarsi a tale scritto in un modo del tutto libero ed imparziale. Ovvero, l’invito rivolto al lettore è quello di porsi nei riguardi del testo non in maniera pregiudizievole quanto, al contrario, libera da qualsiasi opinione aprioricamente assunta nei confronti della religione lato sensu.
Del resto, gran parte delle tematiche esposte viene direttamente rimandata ai testi sacri. In pratica, ciò che legittima le riflessioni poste in essere e le posizioni fatte proprie, trova fondamento e giustificazione in definiti precetti teologici rispondenti a specifici credi religiosi.
Però l’uomo è un essere socievole, sicché cerca di vivere la propria vita in comunione con gli altri. Nel campo religioso, perciò, deve essere libero di praticare un culto comune, di creare associazioni religiose e di improntare la sua vita sociale ai principi religiosi. La religione non è una questione puramente privata, pertanto la libertà religiosa non può essere limitata al solo ambito personale.
Ho ritenuto essere particolarmente interessanti alcune riflessioni concernenti la laicità, il laicismo e la rivendicazione della necessarietà della pubblica manifestazione del Credo (ampiamento inteso) – dinamica socio-politica fondamentale sia per la salvaguardia del pluralismo religioso sia per la diffusione di politiche aventi a cuore la tutela della tolleranza fra tutte le religioni sparse nel Mondo -. Ad ogni modo, è proprio sotto il profilo più prettamente storico e concettuale che il saggio appare essere “strutturalmente” manchevole ed incompleto.
In primis, ritengo sarebbe stata doverosa – anche da un mero punto di vista della “completezza realizzativa” – prendere nota e citare alcuni dei più gravi ed imperdonabili scempi, compiuti in nome di una visione distorta di Dio e causati dalla fanatica osservanza dei credi secolarizzati. Non tanto per giustificare o legittimare posizioni ateiste o agnostiche quanto, piuttosto, per marcare, con ancora maggiore forza, l’invito rivolto dallo stesso autore a far sì che i proseliti comprendano, sempre di più, come, in ambito di rapporto con il credo e con il proprio prossimo, sia fondamentale affidarsi ad un puro sentimento di umanità e sensibilità.
In secundis, fuoriuscendo dal – più che legittimo – “ancoraggio” su quanto scritto nei testi sacri e su quanto fatto dalle comunità ed istituzioni religiose in ambito nazionale ed internazionale per il perseguimento della pace, un tentativo di interpretare quelle principali dinamiche comportamentali e psicologiche, capaci di permettere (o impedire) la pacifica convivenza tra proseliti di religioni diverse, avrebbe (sicuramente) permesso al testo di venire integrato da una argomentazione ancora più esaustiva.
Si tratta di un saggio assolutamente piacevole – fra le altre cose, molto ben curate le citazioni e tutti i riferimenti storici, così come gli approfondimenti filologici -, che si mostra in grado di suscitare interesse anche in individui che, come il sottoscritto, hanno estrema facilità a dichiararsi serenamente atei.
Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.