Ai tempi del Buddha viveva una giovane ragazza di nome Mālā. La fanciulla faceva la domestica per una signora rude e violenta. Quest’ultima, infatti, era profondamente invidiosa della bellezza della sua serva e, a causa di questo suo animo distorto e viziato, non perdeva occasione per offenderla e maltrattarla. Indipendentemente che la povera Mālā commettesse o meno degli errori, la sua padrona non si risparmiava dal picchiarla e dal tramortirla, così da non concederle mai nemmeno un breve attimo di pace e serenità. Era soprattutto la lunga, liscia e sensuale capigliatura della ragazza ad infiammare, oltremodo, l’animo della donna e a renderla schiava dei sentimenti più biechi e meschini: ogni volta, infatti, che la fanciulla andava accarezzandosi i capelli, la padrona la picchiava e la gettava a terra, tirandola proprio per la lunga chioma.
Un giorno, non riuscendo più a sopportare tanta violenza, Mālā si convinse che, tagliandosi i lunghi capelli, la sua padorna (forse) avrebbe smesso di trattarla con tanto odio. Certa, dunque, di come la fonte di tutte quante le sue sofferenze fosse la propria lunga chioma, la ragazza agì di conseguenza. Ma questo gesto rese la donna ancora più furiosa. Per vendicarsi di tanta sfrontatezza, infatti, la padrona legò attorno al collo della giovane una corda e fece poi un nodo, proibendole, tassativamente, di rimuoverlo. Da quel giorno in poi, la donna si servì proprio di quel nodo per afferrare la fanciulla e tenerla stretta a sé, nel mentre che andava picchiandola.
Ben presto Mālā non ebbe più le forze per reggere il peso di tanta violenza. Non aveva mai il modo di uscire e di divertirsi con i propri amici. Inoltre, tutte le persone del villaggio avevano anche iniziato a deriderla e a chiamarla Rajjumālā – ovvero Mālā che ha una corda attorno al collo -. Triste, afflitta e del tutto sola, la giovane domestica decise così di porre fine alla sua vita. Una mattina, con la scusa di andare a prendere dell’acqua, afferrò una pentola e vi nascose al suo interno una corda. Convinta come quella, oramai, fosse per lei l’unica strada possibile da percorrere.
Nel mentre che andava recandosi nel cuore del bosco, la fanciulla fu però scorta dal Buddha. Il Maestro riuscì a raggiungere la ragazza giusto in tempo. Poco prima che la stessa fosse sul punto di porre fine alla propria triste esistenza. Il loro fugace dialogo dissipó gli intenti nefasti della ragazza:
Buddha: “Figlia, hai riflettuto su quello che stai per fare? Se tu sapessi quanto sei fortunata, non faresti mai una cosa del genere!”
Mālā: “Signore, la mia vita è un vero inferno. Sulla terra ho trovato solo sofferenza. Per questa ragione voglio che la mia esistenza abbia termine oggi.”
Buddha: “Piccola Rajjumālā, oggi è certo che tu stia soffrendo. Ma terminare così la tua vita non ti darà alcuna risposta! Allargare la tua vista per guardare il quadro più ampio così da porre fine alla tua sofferenza. Questo è ciò che dovresti fare! Ciò che, invece, non dovresti mai fare è porre termine a quanto di più raro ti sia stato in dono: la tua vita umana.”
Rincuorata dalla gentilezza del Buddha, la fanciulla gettò a terra la corda e pregò il Maestro d’istruirla sul percorso da seguire per liberarsi dal fardello della sofferenza. Fu così che il Buddha la istruì sul sangaha dhamma e sul Nirvana. Tornata al villaggio, la piccola Mālā apparì a tutti essere diversa e fiorita spiritualmente. Ma in pochi compresero il reale motivo di quella sua rinascita.
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