ENSÕ, OVVERO IL “CERCHIO DELL’INFINITO”.


La parola ensō, nella lingua giapponese, significa “cerchio”. È molto comune nella calligrafia nipponica. Simboleggia l’Illuminazione e l’Universo. Si tratta di un segno che lascia all’artista ampi margini di “discrezionalità creativa”: alcuni, infatti, lo realizzano con un’apertura – quasi a voler testimoniare la ineluttabilità di un eterno legame con le cose terrene -, mentre altri, al contrario, chiudono del tutto la sua circonferenza. In molti casi, inoltre, è possibile scorgere all’interno di suddetto cerchio altri simboli particolari, come l’Om, ad esempio.

L’ensō è la “metafora” dello Zen assoluto, ovvero la natura ed essenza più pura della comprensione dell’esistenza e del satori. L’ensō fonde assieme l’assoluto al relativo, il complesso al semplice, il vuoto al pieno. Soprattutto quando è disegnato con una apertura, esso lascia intendere a chi l’osserva che l’esistenza non si contiene in sé ma, al contrario, si apre all’infinità dell’Universo. L’ensō, quindi, è anche il simbolo dell’Infinito. Il “perfetto stato meditativo” (satori), ove più alcuna differenza sussiste tra chi percepisce e l’oggetto della percezione medesima.

Per “realizzare” un ensō non è obbligatorio attenersi ad alcuna regola formale. Il “Cerchio dell’Infinito”, infatti, può essere simmetrico o sbilanciato, realizzato mediante un’ampia pennellata o reso sottile lungo tutta quanta la propria circonferenza, e via discorrendo. Questo perché, nella cultura Zen, l’ensō è la pura e diretta manifestazione dell’energia dell’artista, ovvero il suo “qui ed ora contemplativo”, la sua chiara testimonianza in quanto nunc stans. Quanto di più profondo viene raggiunto dalla meditazione e quanto di più genuino viene manifestato dalla mano. Esso è mushin, ovvero la “mente indifferenziata” dell’artista.

Come detto poc’anzi, l’ensō può accompagnarsi ad altri numerosi simboli o citazioni. L’Om e la Luna, ad esempio, molto spesso integrano il “Cerchio dell’Infinito” in quanto segni che testimoniano l’Illuminazione, secondo la disciplina buddhista. Interessante poi è l’analogia con un altro antico simbolo chiamato uroboro.

L’uroboro è un drago od un serpente che, inghiottendo la propria coda, finisce con il formare un cerchio. Come simbolo rappresenta la ciclicità, l’eterno ritorno, la continua e peritura auto-generazione. Prendendo le dovute distanze dal Buddhismo, potremmo (forse) parlare anche di palingenesi. L’uroboro è estremamente importante nel simbolismo mitologico, basti pensare che in passato indicava la “circolarità” dell’opera degli alchimisti. È, inoltre, spesso associato all’ermetismo e allo gnosticismo.

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