La figura di Severino Boezio, oltre che per la ben nota classificazione delle arti liberali nel trivio e quadrivio, è filosoficamente interessante per alcune tematiche trattate – in special modo, la riflessione sugli universali e l’argomentazione circa l’onniscienza ed atemporalità di Dio – e per la stessa figura cui il decaduto senatore romano va assumendo tanto da un punto di vista culturale che etico.
Il De consolatione philosophiae, infatti, ci descrive la figura di un intellettuale che, invece di appellarsi a Dio ed alla Divina Provvidenza, desidera non rinnegare le scelte fatte e, per l’appunto, ribadisce come la ricerca del sapere e l’amore incondizionato per la conoscenza siano i veri sentieri da percorrere per conseguire la felicità. Boezio, infatti, sotto questo punto di vista può, per davvero, essere considerato come “l’ultimo degli antichi”. L’opera, del resto, rievoca molto alla mente il Fedone e la (ingiusta) condanna a morte conferita a Socrate. Nel “Boezio incarcerato” vi è, in effetti, molto dell’atopia socratica che Platone ascrive al suo stesso maestro:
Ma tu chiederai qual è in sostanza il delitto di cui sono incriminato. Mi accagionarono di aver voluto salvare il Senato; brami sapere in che modo? Col vietare a una spia di metter fuori i documenti dai quali sarebbe risultato il Senato reo di lesa maestà. Che ne pensi, o maestra? Debbo io negare la colpa affinché non ne ricada l’onta su di te? No: volli salvare il Senato, e non cesserò mai di desiderare la incolumità di quell’ordine; debbo confessarla? Ma allora sarà vana l’opera di aver voluto impedire la delazione. Chiamerò illecita cosa l’aver voluto salvare il Senato? In verità, il Senato avrebbe meritato, per le sue deliberazioni contro di me, ch’io la ritenessi illecita; ma l’ignoranza, sempre a sé stessa incoerente, non può tuttavia mutar valore alle cose; e poi, secondo la sentenza socratica, non credo sia permesso di nascondere la verità e lasciare il menomo luogo alla menzogna.
Strutturata sotto forma di dialogo, la Consolazione della filosofia parla di una inaspettata visita che il senatore, durante la propria prigionia, riceve da parte di una donna. Ella altro non è che la Filosofia stessa, giunta sin lì per far dono all’uomo del conforto e per omaggiarlo della verità circa la felicità e Dio:
Hai fieramente inveito contro l’opera del Senato; ti sei anche rammaricato del biasimo a me diretto e hai pianto sui danni dell’intaccata reputazione. Quindi il dolore ti aizzò contro la fortuna, e hai deplorato che non siano conferite le ricompense secondo i meriti. Da ultimo, acceso da poetico furore, hai inalzato preghiere affinché venga a regnare sulla terra quella pace che regna in cielo. Poiché ti agita un tumulto d’affetti e di passioni diverse, e il dolore e l’ira e la tristezza ti trasportano, in questo tuo stato, non conviene ancora trattarti con aspri rimedi, e io userò prima dei lenitivi, onde quelle parti che sono indurite in enflagioni per le acredini accumulate, blandite prima e mollificate, divengano adatte a ricevere efficacemente i farmachi più gagliardi.
Uno dei grandi temi dell’opera è la “fortuna”, intesa nella sua accezione più materialistica. Boezio, infatti, rievocando lo stereotipo classico dell’etica greca, desidera affermare come la vera felicità non risieda nel possesso di beni materiali e nel perseguimento di desideri egoistici – come il riconoscimento pubblico o una ben precisa forma di ascesa e/o affermazione sociale -; ciò che rende felice l’uomo è il sapere, in quanto solo la vera conoscenza permette di discernere i principi che – davvero! – regolano l’intera realtà. Per far questo è fondamentale conoscere prima sé stessi e, di conseguenza, affidarsi ad una vita speculativa:
Ecco, ho scoperto che la principale, o almeno una delle cagioni del tuo male, fu la tua negligenza nello studiare te medesimo; quindi ho trovato perfettamente, tanto la causa della tua infermità, quanto la maniera per rimetterti in salute. Siccome per l’oblio di te stesso ti sei rattristato e lamentato dell’esilio e della perdita dei beni, così, per la tua ignoranza del fine delle cose, ora giudichi a torto che gli uomini perversi siano felici e potenti […].
Il tema della “fortuna” è particolarmente ampio e complesso. L’argomentazione, infatti, occupa interamente il secondo capitolo dell’opera. Motivo per cui è necessario affrontarlo con calma e precisione espositiva.
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