Articolo correlato: L’INTELLETTO UMANO SECONDO TOMMASO: PARTE PRIMA.
Articolo correlato: L’INTELLETTO UMANO SECONDO TOMMASO: PARTE SECONDA.
L’intelletto è, dunque, una potenza dell’anima – che è atto del corpo -. Ma come può l’intelletto, se separato, essere atto? Ovvero, come ascrivere l’intendere all’uomo? Nuovamente è necessario ricordare cosa significhi per l’intelletto essere “non misto”, secondo la riflessione di Tommaso. Procediamo con ordine.
Gli atti si comprendono dagli atti e, dunque, l’intelletto deve essere capito a partire dall’operazione ad esso preposta: l’intendere. Tommaso, restando fedele alla filosofia aristotelica, afferma come nessuno possa interrogarsi circa l’intelletto se non a patto di ammettere che sia proprio egli stesso ad intendere. L’intelletto, quindi, è semplicemente “ciò per cui l’anima dell’uomo intende”. E dato che ogni cosa agisce in modo primario per la propria forma, ovvero ogni cosa si trova in “atto” in virtù della sua forma, l’intelletto – grazie al quale intendiamo – deve, per forza di cose, essere forma del corpo.
Nuovamente è possibile scorgere i grandi punti di distanza tra Tommaso ed Averroè, circa il modo di concepire la “unicità” e la “separatezza” dell’intelletto umano. Quest’ultimo, infatti, non può essere unico e separato secondo l’idea del filosofo arabo.
Averroè afferma che l’intelletto e l’uomo non siano uniti dal momento della generazione e che il pensare sia attività posta al di là dell’individuo. Il peripatetico sostiene che l’intelletto possibile si colleghi all’uomo per mediazione dei “fantasmi” – le immagini percepite – e che l’uomo pensi quando l’intelletto possibile pensa in atto gli intellegibili. Tommaso, però, non accetta l’idea di un intelletto separato e da intendersi come non forma dell’uomo e al quale è necessario “agganciarsi” per dar vita alle speculazioni circa gli intellegibili. In special modo, è la riflessione teorizzata da Averroè circa il rapporto tra l’uomo, l’intelletto (possibile) e gli intellegibili che crea numerosi inconvenienti, fra i quali la difficoltà ad affermare con chiarezza come e perché l’individuo sia in grado di intendere. Si consideri attentamente quanto segue.
L’intellegibile, infatti, si trova in “potenza” nei fantasmi e “in atto” nell’intelletto possibile solo quando quest’ultimo lo pensa (in “atto”, per l’appunto). Questo avviene grazie all’intelletto agente, che astrae l’immagine percepita, rendendola un concetto. L’intellegibile, quindi, non è forma dell’intelletto possibile, ovvero non è atto dell’intelletto possibile se non in quanto astratto per mediazione dell’intelletto agente. Segue, però, che dall’intellegibile l’intelletto possibile non sia collegato ai fantasmi ma, bensì, separato da essi – che, difatti, vengono astratti -. In breve, è impossibile parlare di legame tra l’uomo, l’intelletto possibile e la specie degli intellegibili. Motivo per cui, Tommaso sostiene che l’intelletto sia sì separato ma anche da intendersi come forma del corpo – in tal modo l’intendere è ascrivibile all’uomo –.
Non a caso, infatti, Tommaso prende le distanze anche da tutti coloro che considerano l’intelletto il “motore” del corpo. Secondo tali studiosi, l’intelletto si unisce al corpo come motore e la sua operazione, ovvero l’intendere, è da attribuire all’uomo proprio come il vedere viene ascritto alla vista. D’Aquino è però convinto che il mero legame “motore/mosso”, ovvero il considerare l’intelletto legato al corpo alla stregua di semplice motore che esegue specifiche operazioni, non sia di per sé esaustivo per affermare come l’intendere sia da ascrivere all’uomo. Questo perché non è chiaro il concetto di “uomo” che siffatti filosofi portano avanti e teorizzano. Nuovamente, procediamo con ordine.
Questo uomo è intelletto in toto – cfr. Platone -? Oppure è l’intendere, ovvero l’operazione dell’intelletto (che consideriamo essere in grado di unirsi al corpo come suo motore)? Oppure ancora, l’individuo di cui si parla è da intendersi come il composto di “motore” (intelletto) e “mosso” (uomo)?
La soluzione maggiormente accolta, sostiene Tommaso, è proprio quest’ultima che, però, è da rigettare perché inconcludente ed erronea. Soprattutto sulla base di due ragioni:
- se l’uomo di cui parliamo non è determinato nella sua unicità – in quanto composto -, allora non è ente e, quindi, è privo di specie e genere e, di conseguenza, non può venirgli ascritta alcuna azione;
- nel caso in cui dovessimo affermare che il corpo di questo uomo sia animato solo dalla potenza vegetativa e sensitiva e che venga “nobilitato” da un contatto tra egli stesso e l’intelletto possibile, allora il rapporto con quest’ultimo sarebbe meramente da intendersi del tipo “motore/mosso”. Tale relazione non ci permette di parlare di attribuzione dell’intendere all’uomo – ovvero, rende difficoltoso l’affermare questo uomo pensa! -.
Di conseguenza, Tommaso articola così il proprio disquisire:
- l’intendere non può essere atto di qualcosa che non sia atto dell’intelletto. In sintesi: non può non esserci l’intendere nell’intelletto, proprio come non può non esserci il vedere nella vista;
- l’agire in sé e per sé deve essere principalmente attribuito a chi lo esercita. Facciamo un banale esempio: non sosteniamo che sia il martello a disporre dell’artigiano quanto, piuttosto, che sia l’artigiano a martellare – dove il “martellare” è l’azione ascritta al martello -. Anche se l’operazione dell’intelletto – “motore” – è l’intendere – “operazione” -, non possiamo dire che l’uomo – “mosso” – intenda solo perché l’intelletto si unisce a lui come motore! L’intendere è un agire da riconoscere a chi principalmente lo esercita: l’uomo;
- qualora poi intendessimo l’intendere alla stregua di una operazione “transitiva”, legittimata cioè da un “muovere” (l’intelletto che si unisce al corpo), entro il rapporto “motore/mosso”, quando l’intelletto si unisce al corpo e “trasferisce” l’operazione dell’intendere, sarebbe l’intelletto ad intendere e l’uomo ad essere inteso! Esattamente come chi costruisce – ovvero, chi “trasferisce” sul materiale l’operazione del costruire – è l’edificatore e l’edificio – il “mosso” di cui sopra – l’edificato.
L’intelletto è sì separato, ma secondo il senso di Tommaso, ovvero perché non è atto di alcuna parte (organica/sensoriale) del corpo. È però potenza dell’anima. Si trova nell’anima. Ed è forma del corpo perché agisce in modo primario in virtù della forma. Questo non significa che l’uomo sia solo intelletto! La forma dell’uomo è l’anima intellettiva… l’uomo è “principalmente” intelletto, ma possiede anche altre potenze – vegetativa e sensitiva -. Vi è una ulteriore argomentazione a sostegno di quanto appena esposto.
Quali i principi primi del nostro intendere, ovvero del nostro intelletto? Tommaso, affidandosi nuovamente al pensiero aristotelico, sostiene come essi siano “forma” e “specie”.
Ogni uomo è collocato entro una specie. Ciascun uomo acquisisce la specie dalla forma, ovvero “da ciò che è principio primo dell’operazione propria della specie”. Nell’uomo questo principio è il pensare. Noi differiamo, quindi, da piante ed animali per questa operazione. Il pensare è atto dell’intelletto che è forma che determina la specie alla quale apparteniamo.
Ricordati di votare l’articolo, se vuoi, utilizzando il tasto rate this all’inizio del post.