Un giorno, il principe Abhaya notò uno stormo di corvi volteggiare in modo chiassoso attorno ad un piccolo mucchio di sporcizia. Il principe ordinò di fermare la carrozza e, incuriosito oltremodo dallo strano comportamento degli uccelli, scese per andare ad investigare. Con sua grande sorpresa, scoprì che ciò che aveva attirato la nefasta attenzione degli animali era, in realtà, un neonato. Il piccolo era stato abbandonato e lasciato a morire, circondato dalla spazzatura, tra la indifferenza di tutti.
Il principe, mosso a compassione, decise di adottare il piccolo sventurato. Fu, soprattutto, la volontà di continuare a vivere, palesata così ardentemente dal nascituro, a destare l’istinto paterno nel nobile cuore di Abhaya. Il bambino divenne così figlio del principe e prese il nome di Jivaka Komara Bhacca. Il nome “Jivaka”, infatti, significa “vita”, mentre “Komara Bhacca” vuol dire “adottato da un principe”.
Jivaka condusse la propria infanzia ed adolescenza a Palazzo. Nonostante la vita sfarzosa e ricolma di lusso cui il padre gli aveva fatto dono, il conoscere le proprie reali origini restò sempre una fonte di dolore e di sofferenza per il giovane. Il sapersi abbandonato e scartato come un peso continuò a tormentare per anni il povero cuore del ragazzo. Così, spinto da nobili intenzioni, Jivaka decise di divenire un medico e di immolare la propria esistenza terrena alla cura e alla protezione della Vita. Si recò all’Università di Taxila e divenne discepolo di un noto studioso e sapiente: Disapamok.
Il Dio Sakka, Signore dei Cieli, già da tempo andava seguendo con attenzione la crescita del giovane Jivaka. Il Dio, infatti, sapeva che quel ragazzo avrebbe finito con il divenire, ben presto, il medico del Buddha… un’aspirazione che aveva già toccato il cuore dell’uomo in alcune sue precedenti vite. Così, intenzionato a far sì che il ragazzo ottenesse la migliore formazione medica possibile, il Dio entrò nel corpo di Disapamok, affinché gli insegnamenti del maestro finissero con il godere di veri e propri aiuti celesti.
In brevissimo tempo, la conoscenza di Jivaka crebbe a dismisura. Ben presto, la sapienza che il ragazzo fece propria si rivelò essere oltre la portata dello stesso Disapamok. Fu così che il maestro comprese come un qualcosa di assolutamente divino avesse influenzato il proprio insegnamento e come quel giovane fosse destinato alla grandezza. In soli sette anni, Jivaka completò la sua formazione.
Desideroso di fare ritorno dal proprio padre adottivo, lungo la strada verso Rajagaha, Jivaka si fermò a riposare in una piccola città di nome Saletha. Qui, il giovane medico venne a sapere che la figlia di un ricco nobile era gravemente ammalata e tormentata da insopportabili mal di testa. Jivaka si fece avanti e rassicurò sia il padre che la sfortunata fanciulla di essere pienamente in grado di curare quella strana ed insolita malattia. In brevissimo tempo, Jivaka raccolse erbe e piante e si adoperò per preparare una miracolosa medicina. Una volta somministrata, in poco tempo l’afflizione della ragazza scomparve e la fama di Jivaka iniziò a diffondersi per tutta l’India.
Di ritorno a Rajagaha, Jivaka consegnò al proprio padre adottivo tutto quanto l’oro donatogli dal ricco nobile di Saletha. Un modo questo per ringraziarlo di aver supportato la sua richiesta di andarsene per diventare medico. Il principe Abhaya rifiutò il dono ed accolse a braccia aperte il ritorno di suo figlio. Lo fece entrare a Palazzo e lo informò di un qualcosa di assolutamente inaspettato. Durante l’assenza di Jivaka, infatti, il principe aveva fatto delle ricerche ed aveva scoperto che la madre di quel piccolo orfano abbandonato era una ricca cortigiana, di nome Salawathi, di cui lo stesso Abhaya si era profondamente innamorato, anni prima. La donna, temendo di perdere la propria libertà, aveva tenuto nascosta la gravidanza al principe ed aveva deciso di abbandonare il bambino. Quello stesso bambino che poi Abhaya avrebbe inconsapevolmente adottato, pur non sapendolo suo.