L’ESPERIENZA SECONDO JAMES.


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È lo stesso James a definire il proprio empirismo come “radicale”. E lo fa utilizzando un termine ben preciso: Weltanschauung, ovvero “visione del Mondo”. L’empirismo radicale – stando proprio a quanto sostiene lo psicologo statunitense – deve costituirsi di alcune particolari caratteristiche fondamentali. Per la precisione:

  • «non deve ammettere nelle sue costruzioni alcun elemento che non sia direttamente esperito» – ovvero, non esiste quindi esperienza che non sia esperibile -;
  • non deve «escludere da esse alcun elemento di cui si abbia esperienza diretta» – il che significa che le relazioni e gli associati di un’esperienza rientrano nello studio della stessa -.

Entrambe queste due peculiarità implicano che «le relazioni che connettono le esperienze devono essere esse stesse delle relazioni esperite, e qualsiasi tipo di relazione esperita deve essere considerata reale come qualunque altra cosa nel sistema.» Questo è esattamente ciò che, adesso, dobbiamo porre ad analisi: l’esperienza intesa nelle relazioni con i suoi stessi associati. Dobbiamo, quindi, cogliere gli elementi che legano fra di loro le esperienze, giustificandone le relazioni esistenti tra le stesse. Procediamo con ordine:

  • “relazioni congiuntive”: esse ruotano attorno a particelle come “con”, “vicino”, “prossimo”, “da”, “contro”, “verso”, “attraverso”, “perché” et similia. Le relazioni, che si originano, possono assumere diversi contenuti: di simultaneità, di contiguità, di cambiamento, di causalità, di resistenza, di identicità, ecc. Ciascuna di queste particelle designa un particolare tipo di relazione congiuntiva tra le esperienze ed i loro associati.

James afferma che un particolare tipo di relazione congiuntiva sia quella il cui contenuto si rispecchia in una «transizione co-cosciente» delle esperienze vissute. In breve, si tratta di negare l’esistenza di un solipsismo ontologico legato all’esperienza lato sensu. Ogni esperienza che vivo è “con” altre esperienze. Esattamente come ogni esperienza vissuta da un mio alter ego è “con” altre sue esperienze vissute. Ma, come afferma lo stesso filosofo, «le mie passano nelle mie, e le vostre passano nelle vostre, in un modo in cui le vostre e le mie non passano mai le une nelle altre.»

Alla “transizione co-cosciente” segue poi la «transizione continua». La storia di ciascun individuo altro non è che un perenne e continuo processo di cambiamento. Dove lo stesso cambiamento è – ovviamente – un’esperienza vissuta e continuamente esperita. La biografia personale di un soggetto, agli occhi di un empirista radicale, assume perciò le sembianze di una transizione continua di vissuti personali regolati dal cambiamento.

  • “relazioni cognitive”: per comprendere questo particolare tipo di relazioni, prendiamo in considerazione un esempio come il seguente. Poniamo il caso che io stia pensando ad un albergo. Un albergo che conosco e di cui, quindi, ho esperienza fisica. Può anche darsi che l’idea presente, adesso, nella mia mente sia imperfetta, non chiara, povera di particolari e via discorrendo. Ora immaginiamo che una persona mi chieda di descrivergli questo albergo. Oppure di condurlo fin lì. Ovvio che se non vi fosse la benché minima corrispondenza tra “mente” e “realtà” – ad esempio: “l’idea che ho di questo edificio non rispecchia per niente la realtà” oppure “non sono in grado di raggiungerlo” -, i casi sarebbero due: la mia mente non si riferiva a quell’edificio, oppure il rapporto tra idea ed oggetto si fondava solo sulla somiglianza (della prima sul secondo). Ma si potrebbe anche verificare il caso in cui io sia in grado di descriverlo accuratamente, di fornire precise informazioni circa la sua storia, sulla sua fondazione, e/o che possa tranquillamente raggiungerlo senza problemi. In questo caso, allora, l’idea dell’oggetto è passata attraverso relazioni congiuntive di identicità e ha fatto sì che essa si palesasse come cognitiva nei confronti della mia esperienza, per il perseguimento pragmatico del mio interesse – in questo caso, “descrivere l’albergo” e/o “giungere all’albergo” –.

Possiamo, dunque, sostenere che la conoscenza della realtà sensibile – rappresentata, in questo caso, dall’albergo in questione – prenda vita all’interno di un mio vissuto, di una mia esperienza. Quest’ultima non solo è e deve essere esperita; è rivolta al più chiaro dei finalismi pragmatici. Se focalizziamo l’attenzione sull’esempio di cui sopra, possiamo notare come il conoscere si costituisca di due fattori, uniti, indissolubilmente, tra di loro:

il conoscente (punto di partenza) → l’oggetto conosciuto (punto di arrivo)

La conoscenza si dà (letteralmente) a conoscere perché si basa su esperienze che devono essere esperite. In questo consiste il pragmatismo dell’empirismo radicale jamesiano. In sintesi: le relazioni cognitive ci permettono di sostenere ed affermare che quel determinato oggetto sensibile – l’albergo – fosse, fin dall’inizio dell’indagine epistemologica, presente nella nostra mente. E questo, indipendentemente, dall’idea (più o meno perfetta) posseduta nei riguardi del medesimo. In questo consiste la dinamica de “l’avere l’oggetto nella mente”, secondo James.

Il carattere pragmatico e funzionale dell’empirismo radicale è giustificato dal fatto che la rappresentazione mentale dell’oggetto (l’albergo) possa anche sostituirsi all’esperienza fisica dello stesso – “io conosco questo albergo” -, ma non per un fine o interesse intellettuale e/o meramente conoscitivo, quanto piuttosto per un vero e concreto interesse funzionale: “posso descrivertelo e/o farti arrivare sin lì”. Come afferma lo stesso psicologo: «le idee formano sistemi correlati, che corrispondono punto per punto ai sistemi formati dalle realtà; e se lasciamo che un termine ideale si riferisca sistematicamente ai suoi associati, possiamo essere condotti a un punto terminale a cui ci avrebbe condotti il corrispondente termine reale se avessimo operato sul mondo reale.»

  • “sostituzione”: per quanto concerne le “esperienze concettuali” – idee e pensieri -, durante il processo di cambiamento, che caratterizza l’intera vita percettiva del conoscente, molti termini dei vissuti possono cadere o rinnovarsi o venire anche rimpiazzati. L’eventuale sostituzione degli stessi dipende proprio dal tipo di transizione cui è soggetta la storia personale dell’individuo preso in esame: vi possono essere casi in cui le esperienze “aboliscano” i loro precedenti, così come si possono verificare situazioni in cui i vecchi significati si rinnovino, ampliandosi di contenuto. E via discorrendo. In poche parole, possiamo sostenere che ogni percorso mentale sia in grado, sempre, di aprirsi a possibili ed ipotetiche sostituzioni:

Infatti non solo queste permettono transizioni incredibilmente rapide, ma, grazie al carattere universale che frequentemente posseggono, e alla loro capacità di associarsi le une con le altre in grandi sistemi, superano il lento susseguirsi delle cose stesse, e ci fanno volare avanti verso il nostro punto terminale finale in un modo molto meno faticoso di quanto non sarebbe il seguire le concatenazioni della percezione sensibile. Mirabili sono le nuove scorciatoie e cortocircuiti creati dai percorsi di pensiero.

 

  • “contiguità”: il concetto di “contiguità” permette a James di sostenere come le menti dei conoscenti siano in grado di “incontrarsi” attorno ad un qualche oggetto comune. La percezione del proprio corpo e di quello degli alter ego fa sì che le menti dei percipienti si trovino le une con le altre, divenendo, per l’appunto, tra di loro contigue:

Perché io assumo che ci sia la vostra mente? Perché vedo il vostro corpo che agisce in un certo modo. I suoi gesti, i movimenti della faccia, parole e condotta in generale, sono espressivi, così io ritengo che siano effettuati come lo sono i miei da una vita interiore come la mia. […] È solo in quanto animate quell’oggetto, il mio oggetto, che io ho occasione in assoluto di pensare a voi. […] I vostri oggetti sono sempre e di nuovo gli stessi dei miei. […] Se voi alterate un oggetto nel vostro mondo, per esempio, spegnete una candela, quando io sono presente, la mia candela ipso facto si spegne. È solo in quanto alterate i miei oggetti che io indovino la vostra esistenza.

La contiguità jamesiana richiede, quindi, un punto fermo, attorno al quale le menti possano riunirsi. E quel punto fermo è lo spazio: «si può dimostrare che i percetti in se stessi differiscono; ma se ad ognuno di noi fosse chiesto di indicare dov’è il suo percetto, noi indicheremo lo stesso identico punto.»

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