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A completamento del progetto kantiano inerente la pace perpetua tra gli Stati, vi sono due “supplementi” ed un’appendice finale, che risultano essere particolarmente interessanti. Guardiamo intanto i due restanti articoli:
- «Primo supplemento. Sulla garanzia della pace perpetua.» Si tratta di un passaggio particolarmente importante e che evidenzia quello spiccato ottimismo antropologico di cui avevamo già fatto menzione in precedenza. Secondo Kant, una vera e propria “assicurazione” al raggiungimento della pace perpetua tra gli Stati è data, in un modo del tutto indiscutibile, dalla stessa Natura «dal cui corso meccanico risalta visibilmente la finalità di far sorgere dalla discordia tra gli uomini, anche contro la loro stessa volontà, la concordia […].» Kant usa proprio il termine di “provvidenza” la cui valenza è tanto teoretica quanto pratica; in altre parole, l’illuminista tende a considerare il raggiungimento della pace tra i popoli come una tappa inevitabile del lento – ma continuo – progresso della ragione umana. A fondamento di tale principio – la “provvidenza” -, garante del perseguimento della pace perpetua, il filosofo pone tre riflessioni fondamentali: essa «si è preoccupata che gli uomini potessero vivere dovunque sulla Terra», «con la guerra li ha spinti dovunque, anche nelle contrade più inospitali, così da popolarle» e «sempre con la guerra li ha costretti ad entrare in rapporti più o meno legali».
- «Secondo supplemento. Articolo segreto per la pace perpetua.» Si tratta questa di una riflessione piuttosto sintetica e dall’immediato apprendimento. In quanto figlio dei Lumi, Kant non può esimere sé stesso dal glorificare il ruolo di avanguardia politica spettante al filosofo latu sensu:
Che i re filosofeggino o i filosofi divengano re non c’è da aspettarselo; e neppure da desiderarlo, perché il possesso del potere corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione. Che però re e popoli regali (che si comandano da sé secondo leggi di eguaglianza) non facciano scomparire o ammutolire la classe dei filosofi, ma la facciano parlare pubblicamente, è ad entrambi indispensabile per la chiarificazione del loro compito, e, dato che questa classe è per sua natura incapace di rivolta e unioni in club, la calunnia di fare propaganda non la riguarda.
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